10 agosto 2011

Il 150° e il senso dello Stato


Credo che molti sperassero, con le celebrazioni del 150° anniversario dello Stato italiano, in un rafforzamento del senso dello Stato e della solidarietà nazionale. Mi pare, invece, che molti siano delusi dall’esempio che sta dando proprio in questi giorni la politica. Sulla testa degli italiani pende una spada di Damocle tremenda, costituita dall’enorme debito pubblico, dalla fragilità dell’economia italiana e da una speculazione internazionale pronta a colpire uno degli elementi più deboli del sistema euro rappresentato dall’Italia.
Senso dello Stato e solidarietà nazionale vorrebbero che di fronte al pericolo incombente ci fosse da parte dei partiti e dei cittadini un senso di solidarietà nazionale tale da far accantonare almeno per un momento le divisioni e rafforzare l’unità. E invece le divisioni, lungi dall’attenuarsi, si accentuano e il senso dello Stato non si rafforza anzi si disgrega. Di fronte a un pericolo analogo negli Stati Uniti si è riusciti a trovare un accordo tra il Congresso (la politica) e la Casa Bianca (il governo) solo per evitare la bancarotta, ma lasciando inalterate le posizioni tra destra e sinistra. Questa divisione e questo scontro non è piaciuto ai mercati che hanno giudicato male, dicono molti analisti, non tanto l’accordo raggiunto, quanto la divisione perdurante nella politica americana, che rischia di vanificare l’accordo.

Remare nella stessa direzione!
Perché i politici italiani non fanno tesoro della lezione americana? Perché a salvare l’Italia non ci pensano gli italiani di propria iniziativa, senza essere costretti a farlo, con tanto di indicazioni del come e del quando, dall’Unione Europea con in testa la Germania e la Francia? Suvvia, anche un po’ di orgoglio nazionale dovrebbe invogliare i vari Bersani e Di Pietro a remare, almeno in queste circostanze drammatiche, nella stessa direzione del governo, anzi col governo, pur mantenendo le distinzioni politiche tra maggioranza e minoranza. Perché non dovrebbe essere possibile, proprio nell’anno del 150° dell’unità d’Italia? Tanto più che tutti, maggioranza e opposizioni, si richiamano al senso dello Stato e dichiarano di volere unicamente il bene dell’Italia.

Naturalmente il buon esempio dovrebbe venire dalla maggioranza, la quale purtroppo è spesso distratta da altre questioni, certamente meno importanti di quelle che dovrebbe affrontare con maggiore coesione ed energia. Capisco che ai signori Bossi, Maroni e amici interessi più di ogni altra cosa il federalismo, ma conoscendo bene il federalismo elvetico e il suo principio fondante: tutti per uno – uno per tutti, non mi sembra che il trasferimento di uffici ministeriali da Roma a Monza sia una bella dimostrazione di questo principio. Semmai, in questo momento di particolare difficoltà per il Paese, sarebbe stato preferibile che le Regioni economicamente più forti garantissero in certo modo per quelle più deboli, proponendo esse per prime sgravi allo Stato centrale e liberando risorse da destinare a quelle più bisognose. Suvvia, un po’ di serietà e di solidarietà!

Una questione di responsabilità e di orgoglio nazionale
Capisco anche che nelle opposizioni continui a prevalere la contrapposizione rispetto al governo e alla maggioranza, ma trovo irresponsabile che in un momento come questo, in cui mezzo mondo guarda all’Italia con trepidazione, proprio le opposizioni, ad eccezione di quella dell’UDC di Casini, sembrino voler far precipitare la situazione con un cambio di governo ed elezioni anticipate. Se ciò accadesse, i pericoli per l’Italia si trasformerebbero sicuramente in tragedia perché si offrirebbe al mondo intero l’immagine di un Paese ingovernabile, insicuro e allo sbando. Sarebbe il trionfo della speculazione internazionale e la retrocessione dell’Italia al rango di repubblica delle banane.
Certo, bisognerebbe essere ciechi, non leggere i giornali e non sentire gli opinionisti «neutri» internazionali per non avvertire che il governo italiano a guida Berlusconi in questo momento è particolarmente debole, insicuro e poco coraggioso nel somministrare alla malata Italia la medicina che occorrerebbe. Ma non è solo colpa sua. E’ anche colpa delle opposizioni che hanno in testa non la ricetta per far uscire l’Italia dalla crisi, ma una voglia matta di mandare a casa (o in galera) Berlusconi. Bene ha detto Piero Ostellino all’indomani dell’approvazione della manovra con i soli voti della maggioranza che la classe politica ha perso l’occasione «di dimostrare di essere non solo all’altezza della situazione di crisi che sta attraversando il Paese ma anche e soprattutto di una classe politica degna di questo nome: saper guardare avanti dopo aver fatto una seria analisi del passato».E questo è grave non solo per il sistema politico ma per l’Italia.
Bene ha fatto la settimana scorsa il segretario politico del Pdl Angelino Alfano a ricordare che il popolo italiano tre anni fa ha deciso da chi vuol essere governato e per quanto tempo. E quanto alle opposizioni non hanno che avanzare proposte e migliorare quelle del governo. Affermare, invece, come fanno Di Pietro, Fini, Bersani e compagni che il tempo di Berlusconi è finito, urge un cambio alla testa del governo perché «il Paese non può più aspettare», mi pare in questo momento francamente azzardato e irresponsabile. Ciò che urge è ben altro: salvare i conti pubblici, porre mano subito alle misure già approvate ed essere pronti a prendere ulteriori provvedimenti, anche impopolari se necessario.

L’incontro vincente
Diverso, per fortuna, l’atteggiamento del mondo del lavoro, che chiede sì misure adeguate per superare la crisi e rilanciare l’economia, ma è disposto a collaborare nella ricerca delle soluzioni. Mi pare anche ovvio, visto che è l’economia più che la politica a risentire della crisi e a interpretare realisticamente i segnali delle borse. E’ forse dall’incontro governo-mondo del lavoro che può nascere il principale antidoto alle difficoltà dell’economia. Ma non basta. Occorre anche recuperare la fiducia nello Stato e nelle istituzioni.
A livello internazionale le principali istituzioni economiche e monetarie e soprattutto l’Unione europea riconoscono all’Italia le capacità per uscire dalla crisi. Maggioranza e opposizioni dovrebbero dimostrare, pena la loro credibilità, di meritare questi riconoscimenti attuando concordemente una politica di rigore finalizzata all’abbattimento del debito pubblico, al pareggio del bilancio e al rilancio dell’economia.
Per ottenere risultati apprezzabili sarebbe indispensabile un forte spirito di solidarietà nazionale perché questi obiettivi sono raggiungibili non attraverso misure leggere di contenimento delle spese, ma attraverso cure pesanti e durevoli, cioè strutturali. Per esempio continuando a tagliare inesorabilmente gli sprechi, eliminando i privilegi ingiustificati della politica, ridimensionando l’intero apparato dello Stato, dal numero dei parlamentari e del personale dell’amministrazione al numero degli enti pubblici nazionali, regionali, provinciali e comunali, e favorendo contemporaneamente la meritocrazia e la produttività, reprimendo senza indulgenza l’evasione fiscale, osservando scrupolosamente l’equilibrio di bilancio, recuperando risorse per incentivare il lavoro ed eliminare le sacche di povertà soprattutto nel Mezzogiorno.
Se ci sarà davvero questa prova di solidarietà si potrà ricordare il 150°anche come l’anno di una grande affermazione del senso dello Stato da parte degli italiani. Se invece, anche in circostanze così drammatiche, si continuerà solo a litigare e lanciare ostracismi, da destra e da sinistra, allora la classe dirigente meriterà davvero il giudizio che ne ha dato Ostellino, ossia che merita di essere cacciata in blocco.

Giovanni Longu
Berna, 10.08.2011