16 marzo 2011

1861-2011: 5. Le donne del Risorgimento

Il 17 marzo 1861, con la proclamazione di Vittorio Emanuele II re d’Italia, si concludeva gran parte del processo di unificazione dell’Italia e cominciava quello della unificazione degli italiani. A 150 anni di distanza si celebrano a giusta ragione i principali protagonisti del Risorgimento: Cavour, Mazzini, Garibaldi, Vittorio Emanuele II. Purtroppo nessuna donna figura tra questi «grandi», non perché le donne non abbiano partecipato al Risorgimento italiano, ma per una evidente discriminazione. L’ingiustizia della storia è che dai tempi di Erodoto (V sec. a.C.), ritenuto da Cicerone il «padre della storia», a scriverla sono stati prevalentemente uomini e le donne, pur presenti e partecipi a tutti i grandi eventi, non sono mai state considerate, salvo pochissime eccezioni, protagoniste.
Molti giornali e siti informatici stanno tentando di rimediare a una vistosa distorsione della storia e a colmare una lacuna grave nella storiografia ufficiale. Mi sembra doveroso accennare anche in questa rubrica al ruolo che hanno avuto molte donne nel Risorgimento. Per evidenti ragioni di spazio la scelta è limitata a poche, una rappresentanza ideale delle migliaia di donne che, spesso a fianco di uomini illustri, ma con una loro precisa individualità, hanno dato un contributo sostanziale all’opera di unificazione politica dell’Italia.

Anita Garibaldi
Nei libri scolastici, l’unica donna del Risorgimento ricordata regolarmente è Anita Ribeiro Garibaldi (1821-1849), non tanto per le virtù proprie quanto per essere stata la compagna brasiliana dell’Eroe dei due mondi. Si erano conosciuti nel 1839 in Brasile, dove Garibaldi combatteva per l’indipendenza del Rio Grande. Tra i due era nato un amore così intenso che Anita decise di seguire l’eroe nelle sue imprese per combattere al suo fianco, condividendo con lui i disagi e i rischi, ma anche gli ideali. Dalla loro unione nacquero quattro figli ma, nonostante gli impegni di madre, Anita non cessò mai di seguire il marito (si erano sposati nel 1842), non da ultimo perché (a giusta ragione) gelosissima. Tornati in Italia nel 1847, da Nizza dove abitava in casa della suocera, Anita cercò ogni occasione per ricongiungersi al marito in giro per l’Italia a combattere. Sebbene malata di malaria e incinta, lo raggiunse per l’ultima volta nel 1848 a Roma dove combatteva per instaurare la «Repubblica Romana». Fu la sua ultima partecipazione a un combattimento per la causa dell’unità d’Italia. Soverchiati dalle forze francesi, i rivoluzionari furono costretti a fuggire. Durante la fuga, Anita morì in circostanze misteriose nella palude di Comacchio il 4 agosto 1848. Divenne ben presto un mito quale compagna dell’eroe Garibaldi e simbolo dei valori risorgimentali di libertà e d’indipendenza declinati al femminile.

Antonietta De Pace
Anita Garibaldi non fu l’unica combattente risorgimentale. Antonietta De Pace (1818-1893), originaria di Gallipoli (Puglia), istruita, mazziniana e antiborbonica, partecipò ai moti del 1848 a Napoli, aiutò Garibaldi nella sua impresa contro i Borboni e sfilò al suo fianco nella sua entrata trionfale a Napoli il 7 settembre 1860. Oltre all’attività politica svolse anche, come molte altre donne risorgimentali, attività umanitarie in campo sanitario, come direttrice dell’ospedale del Gesù di Napoli, ed educativo a favore soprattutto dei giovani e delle donne.

Enrichetta Caracciolo
Un’altra grande patriota meridionale, napoletana, fu Enrichetta Caracciolo (1821-1901). Di carattere ribelle, da giovane fu costretta ad entrare in convento, che più tardi lasciò per seguire le idee liberali che si stavano diffondendo nella prima metà dell’Ottocento. Partecipò ai moti napoletani antiborbonici fino all’ingresso di Garibaldi a Napoli. Senza mai abbandonare la politica, si dedicò in seguito alla sua vocazione di scrittrice. In un libro a carattere autobiografico («I misteri del chiostro napoletano»), tradotto in diverse lingue, stigmatizzò il fenomeno delle monacazioni forzate, inquadrandolo nel contesto del disfacimento del regno borbonico e nel processo unitario dell’Italia.

Jessie White Mario
Un’altra donna che seguì da vicino Mazzini e Garibaldi fu la giornalista inglese Jessie White Mario (1832-1906). Al seguito di Garibaldi, ne raccontava nei giornali inglesi le varie imprese, facendolo conoscere insieme a Mazzini (che aveva conosciuto e ammirato a Londra e di cui scrisse un ritratto) nel mondo anglosassone. Le sue cronache non erano semplici reportage di fatti e personaggi, ma testimonianze da cui apparivano chiaramente i sentimenti di condivisione e partecipazione dell’autrice. Era talmente coinvolta negli accadimenti d’Italia che finì per sposare (1857) un fervente patriota italiano, tale Alberto Mario. Seguì Garibaldi nella spedizione dei Mille e fu con lui nell’ingresso trionfale a Napoli il 7 settembre 1860. Quando Jessie White ritornò a Napoli alcuni anni dopo l’Unità (nel 1876), dovette costatare e testimoniare suo malgrado che la povertà e la disperazione sembravano essersi impadronite della città. Aveva scoperto la gravità della «questione meridionale». Con i suoi scritti cercò di attirare su di essa l’opinione pubblica e l’attenzione dei politici, evidentemente senza apprezzabili risultati.

Cristina Trivulzi di Belgioioso
Un’altra donna del Risorgimento italiano fu Cristina Trivulzi di Belgioioso (1808-1871). Nobile milanese, molto colta, scrittrice, vicina alle idee di Mazzini, che conosceva personalmente, sostenne la causa dei Carbonari e cofinanziò alcune loro imprese come quella di Ciro Menotti a Modena. Ricercata dalla polizia, si trasferì a Parigi, dove entrò in contatto con molti esuli italiani. Rientrò più volte in Italia per dar man forte ai combattenti durante le Cinque Giornate di Milano e seguì da vicino la breve esperienza della Repubblica Romana.
Tutti i grandi rivoluzionari risorgimentali godevano di grande prestigio presso le donne, ma il più seducente è stato senz’altro Giuseppe Mazzini. Aveva donne disposte ad ospitarlo e a seguirlo ovunque si trovasse, in Italia come in Inghilterra o in Svizzera. Le donne «lo coccolavano e lo servivano ed egli lasciava fare compiaciuto. Le dominava tutte dall’alto del suo intelletto superiore, le affascinava con la sua voce calda e suadente ed esse lo ascoltavano rapite, pendendo dalle sue labbra» (Giulio Gambaro).

Giuditta Bellerio Sidoli
La donna che è stata più vicina a Mazzini fu senz’altro Giuditta Bellerio Sidoli (1804-1871). Nobile milanese, autentica patriota, aveva sposato giovanissima un latifondista modenese appartenente alla Carboneria (società segreta rivoluzionaria della prima metà dell’Ottocento). Ricercati dalla polizia si erano rifugiati in Svizzera (1821). Morto il marito (1828) e privata dei quattro figli dal suocero rimasto fedele a Francesco IV di Modena, tornò in Italia nel 1831 per partecipare ai moti di Reggio Emilia al seguito di Ciro Menotti, sventolando la bandiera tricolore. Fallita l’insurrezione, dovette fuggire in esilio dapprima a Lugano e poi a Marsiglia, dove conobbe Mazzini divenendone amante e collaboratrice politica. Nel 1832 contribuì alla fondazione del giornale politico La Giovine Italia, di cui assunse la responsabilità. Da allora la sua vita fu per diversi anni «spericolata». Partecipò a numerosi tentativi d’insurrezione a Livorno, Firenze, Roma, Milano, Bologna. Nel 1852, si trasferì definitivamente a Torino dove aprì un famoso «salotto», frequentato dalle maggiori personalità torinesi.
La politica, allora e spesso anche in seguito, veniva fatta non solo in Parlamento o nelle corti ma anche nei «salotti», dove le padrone di casa erano spesso donne illuminate e aperte al nuovo spirito di libertà. Ve ne erano ovunque, a Milano, Torino, Genova, Londra, Parigi, Lugano.

Bianca De Simoni Rebizzo
Oltre a quello della Sidoli a Torino, divenne celebre anche quello di Bianca De Simoni Rebizzo (1800-1869) a Genova. Milanese di nascita, genovese di adozione per aver sposato un ricco poeta e viaggiatore genovese, aprì a Genova un salotto frequentato da intellettuali e patrioti, tra i quali Bixio e Mameli. In questo salotto vennero studiate e pianificate alcune imprese risorgimentali come la sfortunata impresa di Carlo Pisacane e la vittoriosa impresa dei Mille. Alla De Simoni Rebizzo interessavano oltre alla politica anche i problemi sociali soprattutto delle donne e dell’infanzia e a lei si deve il primo collegio femminile di Genova (1850) e il primo asilo cittadino.

La Contessa di Castiglione
In questa rapida carrellata di donne importanti del Risorgimento italiano non si può non ricordare quella che fu considerata la più bella, Virginia Oldoini, Contessa di Castiglione (1837-1899). Nobildonna fiorentina, bellissima, intelligente e influente, divenne sposa del conte di Castiglione, cugino di Cavour. E questi non trovò di meglio che servirsi di lei e delle sue grazie per convincere Napoleone III a sostenere la causa indipendentista del Regno di Sardegna. Trasferitasi a Parigi, divenne amante dell’imperatore e pare sia riuscita a convincerlo ad accettare la proposta cavouriana di un’alleanza franco-piemontese in funzione antiaustriaca. Quanto la decisione francese sia dipesa dalle arti seduttrici della Contessa di Castiglione è opinabile, ma è storia che l’imperatore francese finì per assecondare il piano di Cavour. Si sa che le aspettative di questi non furono interamente soddisfatte dall’intervento di Napoleone III nella seconda guerra d’indipendenza e forse anche per questo la storia ha praticamente dimenticato il contributo della contessa all’unità d’Italia per ricordarne al massimo la sua bellezza e il suo potere di seduzione.

Lo spazio tiranno non consente nemmeno un accenno a molte altre donne importanti del Risorgimento quali Nina Schiaffino Giustiniani, Clara Maffei, Elena Casati Sacchi, Teresa Durazzo Doria, Luisa Solera Mantegazza, ecc. ecc.
Queste e molte altre donne che non sono entrate nei libri di storia per evidenti scelte unilaterali degli storici non sono meno degne di essere ricordate almeno in questa nostra epoca in cui la parità tra uomo e donna sta cercando sia pure faticosamente di affermarsi, tanto più che il contributo di molte donne è stato determinante se non all’unificazione politica dell’Italia alla formazione del patrimonio culturale, morale e civile degli italiani.

Giovanni Longu
Berna, 16.03.2011