02 marzo 2011

La dignità delle donne in politica e nella società

Sempre più spesso le donne scendono in piazza per rivendicare diritti e dignità. Fanno bene, almeno fino a quando dignità e pari opportunità non saranno in larga misura acquisite. Devono però stare attente a non farsi strumentalizzare e a non cadere nella tentazione di voler apparire a tutti i costi vittime dei soprusi degli uomini. In fondo, a guardare onestamente la realtà, la responsabilità di quel che non funziona nella società non può ricadere solo sugli uomini. Un po’ di autocritica credo che gioverebbe anche alle donne.

Le dimissioni di Berlusconi non bastano
Dovrebbe far riflettere il fatto che le donne, pur essendo la maggioranza nella società civile e pur disponendo di una legislazione che ha tra i suoi fondamenti il principio dell’uguaglianza, sembrano non avere acquisito ancora la consapevolezza della loro forza e la volontà di usare a pieno gli strumenti legali e morali a loro disposizione. Anche le recenti manifestazioni di piazza testimoniano più la debolezza che la forza delle donne, più il loro sentimento d’inferiorità che la consapevolezza del loro reale potere, più le illusioni che le certezze di un cambiamento nella società. Ma davvero le donne scese in piazza contro Berlusconi credono che per avere la dignità «negata» basti cacciar via il presunto «tiranno»?
Se bastassero le dimissioni di Berlusconi per salvare la dignità degli italiani, per eliminare i mali che li affliggono, per dare la felicità a tutti, credo che nessun cittadino esiterebbe un istante a scendere in piazza per chiederne le «dimissioni subito». Se invece non tutti aderiscono a questo tipo di manifestazioni è probabile che una parte consistente degli italiani non lo ritenga la via giusta per raggiungere il successo desiderato.
Sia ben chiaro, chi non scende in piazza non è necessariamente a favore di Berlusconi, ma ritiene molto semplicemente che la dignità degli italiani non dipende affatto dal Presidente del Consiglio. Pertanto, una sua rimozione a furor di popolo per i suoi comportamenti privati non risolverebbe il problema. Sarebbe davvero triste se le donne italiane si sentissero frustrate e calpestate nella loro dignità solo perché i comportamenti personali di Berlusconi appaiono riprovevoli. Una persona adulta e responsabile non dovrebbe lasciarsi influenzare dai cattivi esempi e non dovrebbe nemmeno lasciarsi condizionare acriticamente dai media e nemmeno dalle parole d’ordine dei partiti.

Manifestazioni come alibi
Le manifestazioni di popolo, soprattutto quando assumono un carattere palesemente illusorio (nel senso che non producono effetti pratici) rischiano anche di trasformarsi in un alibi per ciò che non si ha il coraggio di ammettere. Non v’è dubbio che i molti mali d’Italia (ingiustizie, disoccupazione, disuguaglianza uomo-donna, malasanità, divario crescente tra ricchi e poveri, tra nord e sud, criminalità organizzata e microcriminalità, ecc.) non sono riconducibili ai cattivi esempi di Berlusconi e nemmeno alle indubbie deficienze del suo governo.
E a voler riflettere sulle cause più che su ciò che appare non è nemmeno colpa delle televisioni di Berlusconi (o di altri) se spesso l’immagine della donna è ridotta al suo corpo, esibito il più possibile al naturale o ritoccato ad arte. Da decenni ormai anche le donne sembrano assistere impotenti all’«uso» talvolta spregiudicato del corpo della donna come arma di seduzione per attirare sguardi più o meno morbosi, in abbinamento con beni di consumo di ogni genere in cerca di acquirenti.
Questa strumentalizzazione ha un colpevole principale, l’uomo, ma la donna è sicuramente corresponsabile. Molte donne si prestano a mettere in bella mostra il loro corpo in cambio soprattutto di denaro, ma anche perché in questa nostra società dell’immagine l’apparire tende a prevalere sull’essere. Di questo uso commerciale del corpo femminile la donna non è solo vittima ma anche complice.
Senza sprofondare in analisi sociologiche complesse, è sotto gli occhi di tutti che la libertà dei costumi conquistata nei decenni passati ha avuto grandi contraccolpi sull’intera società. Basti pensare alla crisi profonda della famiglia (in cui la capacità educatrice dei genitori si è molto ridotta), alla crisi del sistema scolastico (incapace di trasmettere valori insieme alle conoscenze), alla crisi della società in cui contano sempre meno i valori (responsabilità, meritocrazia, lealtà, impegno, spirito di sacrificio, solidarietà, rispetto degli altri) e si diffondono invece molti vizi (corruzione che fa rima con raccomandazione, arrivismo, sfruttamento, profitto a tutti i costi, evasione fiscale, furberia, egoismo e via dicendo).

Dignità e responsabilità
La società di oggi è un prodotto allo stesso tempo maschile e femminile. Le donne ne sono corresponsabili. Anche per questo è un alibi scendere in piazza per rivendicare maggiore dignità dai soli uomini e da uno in particolare. Semmai dovrebbero scendere in piazza per chiedere non solo dagli uomini ma anche dalle donne comportamenti più seri e più responsabili in famiglia, nella scuola, nelle relazioni sociali, in politica. Piuttosto, se disturba tanto la figura di Berlusconi in politica, si preparino a votare alle prossime elezioni un successore più degno. Le donne non possono non ritenersi responsabili di come votano e delle scelte fatte. Potrebbero benissimo decidere le sorti del Paese, azzerare la classe politica attuale, mandare in parlamento più donne che uomini, far eleggere più donne alle alte cariche dello Stato, presidenza della Repubblica compresa, far approvare le leggi che ritengono più adeguate e più giuste, anche a garanzia della piena uguaglianza uomo-donna.
Ma non solo in politica le donne possono fare di più. In tutti i campi dovrebbero tentare la scalata, non tanto per ambizione di potere ma per dimostrare pari opportunità e pari capacità: nelle direzioni delle imprese, delle banche, dei media, nei consigli di amministrazione dell’economia pubblica e privata, nelle stanze del potere reale. Ovviamente per arrivarci occorre partire di lontano, da una sana competizione sui banchi di scuola, dall’esempio in famiglia di una equa distribuzione dei compiti tra uomo e donna, dalla corresponsabilità dei genitori nell’educazione dei figli fornendo non solo principi ma anche modelli di vita, dalla partecipazione attiva alla vita politica.
Le donne protestano giustamente perché il corpo della donna è spesso mercificato e «usato» per vendere di più, ma non basta indignarsi. Intanto non devono dimenticare che quei corpi esibiti in televisione o raffigurati nella pubblicità della carta stampata in bella mostra per far aguzzare l’occhio anche dei più distratti sono i corpi di donne come loro, figlie, sorelle o compagne. Evidentemente le loro madri (e i loro padri) non sono stati in grado di trasmettere che il corpo non è solo da esibire, ma fa un tutt’uno con la persona umana, che non può e non deve lasciarsi mai strumentalizzare, nemmeno in cambio di molto denaro o di una effimera notorietà. E poi, se la pubblicità così irrispettosa della donna serve a reclamizzare prodotti che sarebbero altrimenti meno venduti, perché non scendere in piazza e chiedere a tutte le donne di boicottare quei prodotti, almeno fino a quando non cambiano pubblicità? Perché non boicottare quelle emissioni televisive e quei giornali che espongono platealmente il corpo della donna senza alcun pudore? Cos’è che frena le donne da questo tipo di protesta?

Vendetta o giustizia?
Si tratta di un senso d’impotenza delle donne o di un deficit culturale dell’intera società? Probabilmente dell’uno e dell’altro. Basti pensare a come è trattato dalla politica e dai grandi media il «caso Ruby». Da qualunque parte (di destra o di sinistra) lo si consideri, la donna vi appare soprattutto come vittima, quasi incapace di stare alla pari dell’uomo.
Quanto alcuni media non stiano contribuendo affatto a far emergere la dignità della donna lo hanno dimostrato all’indomani della notizia che ad accusare Silvio Berlusconi, nel processo che si aprirà contro di lui il 6 aprile prossimo, sarà una donna (Ilda Bocassini) e a giudicarlo saranno tre donne (Giulia Turri, Carmen D'Elia e Orsola De Cristoforo), dopo che un’altra donna giudice delle indagini preliminari (Cristina Di Censo) aveva deciso il rito immediato. Molti commentatori hanno voluto vedere in questa successione di donne, puramente casuale, un brutto segnale premonitore nei confronti di Berlusconi. «Famiglia Cristiana» ha addirittura parlato di una «nemesi», ossia, vendetta, dei giudici donna. Come se le donne, persino nella funzione giudicante, fossero incapaci di esercitare alcuna delle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), ma solo vendetta. Nemmeno un giornale cattolico dà per scontato che una donna giudice saprà ispirarsi a principi di giustizia e non di vendetta, anche se l’imputato si chiama Silvio Berlusconi.
Per gli uomini e per le donne c’è evidentemente ancora molto lavoro da fare fino al raggiungimento di una soddisfacente parità, rispettosa della dignità e delle caratteristiche di entrambi. E’ auspicabile che ad ogni festa della donna ci sia sempre meno da rivendicare e sempre più da festeggiare, donne e uomini insieme.

Giovanni Longu
Berna 2 marzo 2011