28 dicembre 2011

SVIZZERA: nel segno della continuità e qualche strappo

Alla vigilia delle elezioni del Consiglio federale del 14 dicembre scorso c’era molta incertezza sull’esito di ben tre o addirittura quattro incognite: chi sarebbe succeduto alla dimissionaria socialista Micheline Calmy-Rey, se l’uscente Eveline Widmer-Schlumpf sarebbe stata rieletta e se il partito di Blocher, l’Unione democratica di centro (UDC), avrebbe riacquistato il secondo seggio perso quattro anni fa.

Le incognite sono state risolte con grande facilità nel segno della continuità. Infatti tutti i consiglieri federali non dimissionari sono stati rieletti, come vuole la consuetudine, rotta solo poche volte nella storia della Confederazione, l’ultima delle quali, di quattro anni fa, sancì la non rielezione di Blocher a vantaggio della dissidente dell’UDC Eveline Widmer-Schlumpf. Con la rielezione di quest’ultima, anche l’incognita del secondo seggio all’UDC in Consiglio federale si è risolta all’insegna della continuità con la situazione precedente. Quanto alla successione di Micheline Calmy-Rey, l’elezione del friburghese Alain Berset già al secondo turno è avvenuta secondo copione.
Il risultato più clamoroso è stato sicuramente la bocciatura delle ambizioni dell’UDC, di gran lunga il maggior partito politico svizzero. Alla vigilia dell’elezione infatti non vi era praticamente politico che non riconoscesse all’UDC, il diritto di essere rappresentato in governo con due consiglieri federali. Le opinioni divergevano quando si trattava di indicare al posto di chi avrebbe dovuto essere eletto il secondo rappresentante. Al posto della Widmer-Schlumpf, del Partito borghese democratico (PBD), un partito di centro con un peso di poco superiore al 5%, o di Johann N. Schneider-Ammann del Partito liberale radicale, il più vicino all’UDC, oppure di uno dei due rappresentanti socialisti?

Rotta la rigidità della formula magica
Collegata a questi interrogativi era anche la questione legata alla tenuta del principio della «concordanza», dipendente a sua volta dalla cosiddetta «formula magica», che tradizionalmente assegnava due rappresentanti ai tre partiti maggiori e uno al terzo partito. I vari rappresentanti eletti in base a tale formula erano tenuti a «concordare» la politica del Collegio, ossia del Consiglio federale. Ora, nella situazione attuale, che vede non più applicata la formula «magica», alcuni (pochi, in verità) s’interrogano se verrà meno anche il principio della concordanza. La maggioranza risponde tuttavia tranquillamente di no, anzi, con un solo rappresentante UDC il Consiglio federale dovrebbe funzionare meglio perché, senza una netta prevalenza né del centro-destra né del centro-sinistra, è quasi obbligato a cercare sempre la massima concordanza possibile. Anche al riguardo, pertanto, la continuità del sistema di governo svizzero è garantita.
Si può rilevare tuttavia una novità più che una rottura rispetto al passato. Poiché le elezioni di ottobre per il rinnovo del Parlamento avevano premiato i partiti minori di centro, la nuova Assemblea federale ha voluto in un certo senso rompere la rigidità della «formula magica» nella composizione del Consiglio federale a vantaggio di una più equa rappresentanza degli schieramenti eleggendo un rappresentante in più dei partiti di centro. Se questo orientamento sarà confermato si dovrà dire addio definitivamente alla formula che ormai da qualche tempo magica non lo è più.

Continua l’esclusione della rappresentanza italofona
Un altro elemento di continuità delle recenti elezioni del Consiglio federale è purtroppo l’ulteriore esclusione della rappresentanza italofona. Non è stato bello (per usare un eufemismo) vedere i socialisti romandi escludere quasi a priori la candidatura di Marina Carobbio rivendicando una sorta di diritto della Svizzera romanda ad almeno due rappresentanti in Consiglio federale. E’ invece decisamente triste, almeno per chi scrive, costatare la scarsa sensibilità generale nella politica e nella società per la realtà umana e socio-culturale italofona. Dispiace anche che nello stesso Ticino stia venendo meno la consapevolezza che la presenza italofona nel governo nazionale va preparata e voluta, anche senza un allargamento del Consiglio federale a 9 membri.
L’idea di costituire a Berna un Gruppo parlamentare per l’italianità, da me auspicato già alcuni anni fa e ora, a quanto sembra, in via di realizzazione, può rappresentare uno strumento di sensibilizzazione importante a livello politico, ma dovrebbe risultare chiaro che l’opera di sensibilizzazione dovrà uscire fuori dal Palazzo e coinvolgere tutte quelle forze, organizzazioni e persone che ritengono l’italianità una componente essenziale e irrinunciabile del patrimonio storico, culturale e istituzionale della Svizzera.

Giovanni Longu
Berna, 28.12.2011

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