14 settembre 2011

Micheline Calmy-Rey se ne va

La settimana scorsa, la consigliera federale Calmy-Rey, capo del Dipartimento degli affari esteri e attuale presidente della Confederazione, ha rassegnato le dimissioni per la fine dell’anno. Personaggio complesso e controverso, criticato dagli avversari politici (soprattutto della destra) e stimato dai suoi sostenitori (di sinistra), in nove anni di governo ha voluto e saputo rafforzare l’immagine della Svizzera nel mondo.
Fino a pochi decenni fa, la politica estera della Confederazione era di fatto diretta dai ministri economici, impegnati a vendere e difendere il marchio svizzero nel mondo. Calmy-Rey ha riaffermato la centralità della politica estera tra gli interessi superiori del Paese, rafforzando di fatto le competenze del Dipartimento degli affari esteri e del suo responsabile. Nel suo lavoro, la ministra ha agito, non sempre ottenendo risultati soddisfacenti, su più fronti: diplomazia, partecipazione attiva negli organismi internazionali, difesa dei diritti umani, integrazione e rafforzamento dell’aiuto svizzero allo sviluppo nella politica estera.

Calmy-Rey e l’Italia
Nei confronti dell’Italia la ministra svizzera ha inteso difendere, come si conviene a qualunque rappresentante di uno Stato, gli interessi nazionali, ma lo ha fatto tenendo presente 150 anni di amicizia italo-svizzera. Un’amicizia che non può essere di punto in bianco rinnegata a causa di qualche intemperanza di un ministro della Repubblica o di una reazione della maggioranza di un governo cantonale. Le intemperanze, contestatissime soprattutto in Ticino, si riferiscono evidentemente al ministro Tremonti e riguardano il contenzioso italo-svizzero in materia fiscale. Le reazioni «inopportune» della maggioranza di un governo cantonale sono invece quelle del Consiglio di Stato ticinese.
Di fronte alle irritazioni per l’atteggiamento scostante di Tremonti, il Ticino aveva reagito con la sospensione dei ristorni delle imposte pagate dai frontalieri in Svizzera. Alla Calmy-Rey questa reazione non era piaciuta e in una lettera al governo ticinese aveva scritto chiaramente che «la sospensione del ristorno del provento dell’imposta alla fonte prelevata sui redditi dei frontalieri italiani non è una misura opportuna per il momento poiché contraddice la strada del dialogo che si sta perseguendo».

In effetti la Calmy-Rey si è fortemente impegnata per il dialogo italo-svizzero incontrando sia il ministro degli esteri italiano Frattini e sia lo stesso Presidente del Consiglio Berlusconi. Da entrambi ha ricevuto assicurazioni sulla riapertura del negoziato, proprio in settembre.
Nello spirito del buon vicinato, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, la ministra Calmy-Rey aveva salutato la ricorrenza con un messaggio (pubblicato dal Corriere degli Italiani) in cui ricordava sinteticamente l’intera storia dell’immigrazione italiana in Svizzera, dandone questo giudizio: «E’ poco affermare che gli italiani hanno contribuito sensibilmente al rapido aumento del benessere del nostro Paese, e di questo siamo loro riconoscenti». Chiudeva il suo scritto con l’auspicio che la Svizzera e l’Italia possano «mantenere e intensificare il dialogo in un clima che favorisca uno scambio intenso e fruttuoso».

Marina Carobbio Guscetti? Perché no?

E’ già partita la corsa alla successione di Micheline Calmy-Rey. Speriamo che a succederle sia una persona che abbia ancora a cuore i tradizionali buoni rapporti tra la Svizzera e l’Italia. Potrebbe essere la consigliera nazionale Marina Carobbio Guscetti? Perché no? Del resto, chi più di lei, in quanto italofona e ticinese, potrebbe rendere il dialogo tra i due Paesi più leale, intenso e fruttuoso? La storia delle relazioni bilaterali ha conosciuto probabilmente i momenti migliori quando sedeva in Consiglio federale un italofono o comunque una persona che conosceva bene oltre l’italiano anche l’Italia e gli italiani.

Giovanni Longu
Berna 14.9.2011

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