29 dicembre 2010

Svizzera-Italia: un bilancio 2010 in chiaroscuro

I tenui segnali di miglioramento dei rapporti italo-svizzeri registrati alla fine del 2009 e nella primavera scorsa non si sono consolidati nel corso di quest’anno. Pur non essendoci tra i due Paesi un vero e proprio contenzioso, il clima resta teso. Al centro dei problemi c’è ancora la questione fiscale con una aggravante: il ministro Tremonti sembra intenzionato ad ostacolare non solo i negoziati bilaterali sulla fiscalità, ma anche le trattative analoghe della Svizzera con Germani e Gran Bretagna. Berna non sopporta che l’Italia continui a considerare la Svizzera una sorta di paradiso fiscale da condannare a livello europeo.

La questione dei frontalieri
La fiscalità non è l’unico ostacolo al miglioramento dei rapporti bilaterali. Anche la questione dei frontalieri è sempre all’ordine del giorno, soprattutto dopo la campagna lanciata dell’Unione democratica di centro (UDC) ticinese contro l’invasione dei frontalieri italiani, dipinti come ladri. Ad alzare i toni della controversia si è aggiunta recentemente la reazione della destra ticinese alle interrogazioni italiane in sede europea su una presunta violazione svizzera dei trattati bilaterali Svizzera-UE. Per il Ticino, infatti, è proprio l’Italia che viola i Bilateriali, interponendo ogni sorta di ostacoli alle aziende svizzere di operare in territorio italiano.
A causa di questi contrasti sembrava destinata al fallimento anche l’iniziativa della regione transfrontaliera Insubrica. A credere ancora nel futuro della collaborazione tra il Ticino e le province italiane confinanti è il consigliere di Stato ticinese Marco Borradori, che ne assumerà la presidenza nel 2011. L’Insubrica potrà dare un contributo notevole non solo ad appianare le divergenze ma anche a stimolare la collaborazione tra la Svizzera e l’Italia, soprattutto in vista dell’Esposizione Universale del 2015 a Milano.
Purtroppo, su gran parte della stampa elvetica le considerazioni sull’Italia e sul suo governo sono tutt’altro che lusinghiere. Molti giornalisti sembrano gongolare ogniqualvolta si può sparlare di Berlusconi e attingono a piene mani dal gossip. Solo qualche analisi un po’ più seria mette in guardia dall’attribuire a Berlusconi tutti i mali dell’Italia di oggi, dimenticando che certi cancri si sono sviluppati in anni lontani come il clientelismo, l’evasione fiscale, la corruzione, la mancanza del senso dello Stato. Viene sottolineata in particolare la debolezza del governo dopo il «tradimento» del gruppo di Fini, ma anche la debolezza di tante opposizioni assolutamente inconciliabili e incapaci di esprimere un qualsiasi programma di governo alternativo.

Stampa troppo di parte
La stampa svizzera e internazionale riflette molto spesso nei toni e nei contenuti la stampa italiana, che a mio parere è assolutamente poco attendibile. Nei confronti del governo è completamente schierata e di parte, senza un serio obiettivo di rincorrere la verità e di distinguere i fatti dalle opinioni. Persino alcune trasmissioni del servizio pubblico sembrano godere (come solo in Italia sembra poter accadere) della libertà incondizionata di sparlare, calunniare, contrabbandare opinioni per fatti, accuse di parte per sentenze obiettive, pettegolezzi con programmi di governo.
In questo clima è difficile rilanciare che l’Italia non è solo disastro della politica, ma anche ottimismo, tenuta dei conti pubblici, lotta incondizionata alla criminalità organizzata, all’evasione fiscale, alla corruzione, avvio di alcune importanti riforme nel campo dell’istruzione, della sanità, del federalismo fiscale, della produttività negli enti pubblici, della giustizia, del risparmio delle famiglie, ecc. Non hanno praticamente spazio nella stampa confederata notizie ad esempio sull’informatizzazione dei Consolati e in genere dell’amministrazione pubblica. Eppure la Commissione Europea colloca l’Italia ai primi posti per l’e-government e per la qualità dei servizi online di base.
Anche in occasione dell’ultima votazione sulla fiducia al governo, in mancanza di argomenti politici, il solito Di Pietro non ha trovato di meglio che denunciare presunte compravendite di deputati e senatori. Il messaggio che è passato su gran parte della stampa nazionale (ma anche nelle sue propaggini all’estero, ad esempio in Svizzera) è che Berlusconi sia andato in giro personalmente o tramite emissari ad acquistare deputati e senatori. Un’accusa gravissima, che prima ancora di essere resa pubblica avrebbe dovuto essere verificata da parte di un giudice neutrale. Che a farla sia stato un ex magistrato non la rende più credibile, soprattutto dopo che del denunciante è stato detto e scritto che gestisce il suo partito come una caserma ed è capace di rendere un «calvario» la vita di un eletto a lui sgradito e non disposto a dimettersi per far posto ad altri più docili.

Politica e politici
Sulla politica italiana sono intervenuto più volte in questa rubrica cercando di cogliere qualche aspetto positivo. Purtroppo il compito è sempre arduo, perché la classe politica italiana è assolutamente inadeguata per affrontare i problemi dello sviluppo dell’Italia. La responsabilità non va tuttavia attribuita alla politica in generale e nemmeno ai singoli politici, ma al sistema che soffre ancora dei vecchi giochi di partito. Diversamente non si spiegherebbero alleanze contro natura come quelle che si sono viste nella votazione sulla fiducia al governo il 14 dicembre scorso, senza alcun obiettivo politico se non quello di «mandare a casa» Berlusconi, come se dipendesse solo da lui la soluzione o l’incancrenimento dei problemi dell’Italia. E non si spiegherebbero neppure le frantumazioni delle forze politiche come stanno avvenendo in questo periodo nel Parlamento italiano. Invece di ricercare l’unità e la concordia almeno all’interno dei due poli antagonisti, se ne vorrebbe addirittura creare un terzo per costituire il mitico «ago della bilancia» della Prima Repubblica.
Sicuramente le difficoltà che molti Paesi devono affrontare da qualche anno a questa parte sono più gravi che in passato, ma proprio per questo nessun governo può farcela senza ricorrere al sostegno anche delle opposizioni. L’Italia sembra fare eccezione, non tanto perché il governo dà l’impressione di volerne fare a meno (e si viene a trovare con una maggioranza di 2-3 voti), ma soprattutto perché le opposizioni sembrano intenzionate a provocare con ogni mezzo la caduta del governo. L’Italia comincerà ad andare meglio quando questa contrapposizione troverà la giusta via del compromesso.
A mio parere non è tanto dannoso il bipolarismo, come vorrebbero alcuni politici, quanto la sua radicalizzazione, quando si trasforma in una costante prova di forza insensata tra due parti di cui si dice (complice anche la cattiva stampa) che sono contrapposte e mai complementari. Riferendosi ad un Paese come la Svizzera in cui il consenso popolare e politico è alla base della governabilità e del benessere, scriveva una decina di giorni fa la deputata Kathy Riklin: «la polarizzazione dominante sarà anche pagante e magari attrattiva per i dibattiti televisivi, ma per il nostro sistema politico essa procura danni enormi».
I danni provocati in Svizzera sono risibili nei confronti di quelli italiani. E’ certamente un cattivo segnale che, giusto qualche settimana fa, la Consigliera federale Micheline Calmy-Rey, socialista, sia stata eletta alla presidenza della Confederazione per il 2011 con soli 106 voti su 189 schede valide, il peggior risultato della storia elvetica.

La riforma universitaria
In Italia i danni sono ben più gravi perché si rischia la paralisi del governo e l’impossibilità di affrontare seriamente e in tempi rapidi il problema delle riforme strutturali. Basti pensare al rischio corso dalla riforma dell’università approvata recentemente sia alla Camera che al Senato. Pur essendo una riforma utile è stata ostacolata fino all’ultimo senza valide ragioni.
Eppure è una buona riforma, perché indica nella meritocrazia e nell’efficienza i due cardini principali del rinnovamento del sistema universitario italiano. In questa ottica sono giustificati i tagli agli sprechi e il potenziare dei centri di eccellenza. Solo in questo modo si potrà sviluppare e internazionalizzare la ricerca. Non è tanto grave che molti ricercatori italiani effettuino periodi di ricerca all’estero (comunque utili e in molti campi necessari) quanto piuttosto che pochi ricercatori stranieri scelgano l’Italia per il loro perfezionamento. Quando le università italiane saranno in grado di richiamare «cervelli» dall’estero avranno anche il riconoscimento internazionale che oggi non hanno. Approvando la riforma Gelmini l’Italia si è data la possibilità di risalire nelle classifiche mondiali. Quanti (politici, baroni e mestatori) vi si opponevano, anche con la violenza, non si rendevano conto che senza questa riforma tutto sarebbe stato più difficile.

La voce dei vescovi italiani
Contro questa cieca contrapposizione sono intervenuti persino i vescovi italiani, ascoltati quando in qualche modo sembrano intervenire su comportamenti attinenti alla moralità (anche dei politici), criticati quando sembrano intervenire su questioni politiche. E’ capitato anche all’indomani del voto di fiducia sul governo Berlusconi quando hanno detto che «ripetutamente gli italiani si sono espressi con un desiderio di governabilità» e che «questa volontà, questo desiderio espresso in modo chiaro e democratico, deve essere da tutti rispettato e da tutti perseguito con buona volontà ed onestà».

Con questo auspicio anche da questa rubrica si auspica che i politici italiani trovino la giusta concordia per affrontare i problemi del Paese e avviare le riforme tanto auspicate e necessarie.

Giovanni Longu
Berna, 29.12.2010