20 ottobre 2010

1. L’Unità d’Italia e la neutralità svizzera

Comincia con questo articolo una serie di brevi presentazioni di momenti della storia d’Italia da un punto di vista inusuale, ossia quello di un immaginario osservatore italiano residente stabilmente in Svizzera, interessato sentimentalmente agli avvenimenti, estraneo ai fatti ma non alle sue conseguenze.
Questo primo articolo verte sugli inizi e intende presentare la scena, che ha come momento culminante la proclamazione del Regno d’Italia il 17 marzo 1861. Nei preparativi di questo evento la Svizzera non è né assente né totalmente disinteressata, se non altro perché le due entità statali hanno in comune una lunga frontiera e importanti relazioni commerciali.


Per capire la portata degli eventi decisivi per l’unità d’Italia è necessario accennare al Congresso di Vienna (1815), che aveva posto fine agli sconvolgimenti intervenuti in Europa con la Rivoluzione francese e con le guerre napoleoniche. Le quattro potenze vincitrici sulla Francia, ossia Austria, Prussia, Russia, Gran Bretagna, decisero dopo la caduta di Napoleone di ridisegnare la carta politica ispirandosi a due principi fondamentali: il principio di equilibrio (nessuna potenza doveva avere la supremazia territoriale in Europa) e il principio di legittimità (il potere tornava a chi lo deteneva prima della Rivoluzione e di Napoleone).
Le decisioni prese a Vienna riguardavano anche il Regno di Sardegna e la Svizzera. L’Italia fu mantenuta divisa in una decina di stati. Solo il Regno di Sardegna ne usciva ingrandito perché riottenne dai francesi il Piemonte e la Savoia (persi con le guerre napoleoniche) e gli venne assegnata come nuovo acquisto la Repubblica di Genova. Per quanto riguardava la Svizzera, riportata ai suoi confini originali (corrispondenti in larga misura a quelli attuali, dopo l’ingresso nella Confederazione dei Cantoni di Neuchâtel, Vallese, Basilea e Ginevra), il Congresso di Vienna ne sancì in forma solenne la neutralità perpetua con la garanzia dell’inviolabilità del suo territorio.

La neutralità svizzera e la Savoia
In funzione chiaramente antifrancese e a garanzia dell’integrità territoriale del Regno di Sardegna, le grandi potenze decisero anche che alcune province «sarde» dell’Alta Savoia (Chablais, Faucilly e Genevois) fossero poste sotto la protezione della neutralità svizzera. Nessuna potenza poteva stazionare truppe in quelle province. Solo la Confederazione Elvetica avrebbe potuto occuparle militarmente per prevenire un’invasione (presumibilmente da parte della Francia).
Molte realtà geopolitiche erano tuttavia in fermento da tempo (aneliti di libertà, avvento della borghesia e del capitalismo industriale, aspirazioni a nuove forme di governo, rivendicazioni territoriali ritenute irrinunciabili, ecc.) e non potevano restare bloccate all’infinito. L’Italia era sicuramente una di queste realtà in fermento. Il movimento risorgimentale mirava a riunire quanto prima sotto un’unica bandiera e un’unica realtà politica tutta l’Italia. Gli ostacoli principali erano rappresentati dal Lombardo-Veneto (sotto il dominio austriaco) e dallo Stato pontificio.
Per garantirsi la vittoria in caso di guerra con l’Austria, Vittorio Emanuele II si era alleato segretamente con i francesi (accordo segreto di Plombiers del 21.7.1858 tra Cavour e Napoleone III), che in caso di successo avrebbero ricevuto Nizza e la Savoia. Nella seconda guerra d’indipendenza (1859) l’Austria fu sconfitta e la Lombardia venne ceduta dapprima alla Francia e successivamente, secondo gli accordi, al Regno di Sardegna, secondo gli accordi.
Quando si sparse la voce che la Savoia sarebbe stata annessa alla Francia, i diretti interessati cominciarono ad agitarsi, perché almeno una parte dell’Alta Savoia sembrava preferire un’altra soluzione, per esempio l’adesione alla Svizzera. A preoccuparsi era anche la Svizzera per il timore che i territori dell’Alta Savoia fossero sottratti prima o poi alla propria neutralità.
Nel febbraio del 1860 il presidente della Confederazione sosteneva che «lo stato attuale della sovranità in Savoia ci converrebbe di più, ma se un cambiamento è in vista, è necessario che noi ci assicuriamo una buona frontiera militare» e riteneva che «se la Savoia è separata dal Piemonte, l’interesse europeo esige che ci venga assegnata la parte che ci occorre per poter difendere questa neutralità». La Svizzera dubitava però che le potenze vedessero di buon occhio l’annessione della Savoia alla Francia per paura che «dopo la Savoia sia la volta del Belgio, poi della frontiera renana e una guerra generale».
Nel dubbio, osservava, il capo del Dipartimento militare, bisognava essere preparati anche a un’azione militare, prima che la Francia stazionasse le sue truppe nella Savoia. E in effetti la Svizzera pensò di fortificare Ginevra e di avviare altri preparativi militari per impedire che la Francia volesse eventualmente assicurarsi il passaggio del Sempione e occupare Ginevra e il Vallese.
Per tranquillizzare i savoiardi la Francia organizzò un plebiscito (22.4.1860), ma venne esclusa la possibilità dell’adesione alla Svizzera. Il plebiscito non lasciò apparentemente dubbi: il 99,8% dei votanti approvarono l’annessione. La Francia assicurò anche la Svizzera che avrebbe rispettato la sua neutralità.

Rapporti tra la Svizzera e l’Italia
I rapporti con l’Italia erano stati sempre corretti e ispirati a reciproco rispetto e collaborazione. A Cavour tuttavia sembrò che durante la guerra del 1859 la Svizzera «avesse mostrato molta più simpatia per gli austriaci che per gli italiani». Impressione sbagliata, rispose subito il presidente della Confederazione attraverso il suo inviato straordinario a Torino: «se la Svizzera avesse avuto delle simpatie, queste sarebbero state certamente in favore della libertà e dell’Italia, ma ha dovuto farsi guidare dall’osservanza della più stretta neutralità».
E in nome della neutralità la Svizzera respinse anche la semplice entrata in materia su alcune proposte allettanti provenienti dall’Italia. In cambio del sostegno svizzero alla conquista del Veneto, l’Italia avrebbe potuto cedere alla Confederazione una parte del Tirolo e persino una parte della Valtellina. La questione dell’alleanza con l’Italia non è attuale – scrisse il capo del Dipartimento militare nel 1860 – ma potrebbe diventarlo.
Secondo l’inviato speciale della Svizzera a Torino (settembre 1860) l’annessione del Veneto, data ormai per certa in un futuro non molto lontano, avrebbe provocato uno squilibrio alle frontiere svizzere. L’Austria avrebbe infatti perso quella sua importante funzione di contrappeso alla posizione formidabile della Francia. Il diplomatico svizzero si augurava perciò di trovare «in un’Italia forte e libera un sostegno serio» alla neutralità svizzera. Un sostegno che Cavour aveva più volte garantito, perché, ebbe a dire nel dicembre del 1860, «la vostra indipendenza è la nostra».
Nell’euforia generale del momento, in un’Italia che con referendum e annessioni si unificava sempre di più, non mancarono voci che auspicavano anche un’annessione volontaria del Ticino. Voci provenienti da «patrioti troppo zelanti» o «teste calde», aveva assicurato lo stesso Cavour in una conversazione col rappresentante svizzero a Torino. E aveva aggiunto: «Ho consultato diversi ticinesi stabilitisi a Torino e in maggioranza divenuti piemontesi di cuore. Tutti mi hanno ripetuto che in Ticino c’erano grandi simpatie per la causa italiana, si potrebbe reclutare, se si volesse, un gran numero di volontari, ma nessuno desiderava cambiare la nazionalità». In altra occasione aveva qualificato quelle voci come «chimeriche».

Interessi reciproci
L’attenzione della Svizzera alle sorti italiane non era dovuta solo a visioni geopolitiche, ma aveva anche motivazioni molto concrete, soprattutto commerciali. La Svizzera, ad esempio, aveva un grande interesse a ripristinare l’asse commerciale privilegiato col porto di Genova, divenuto quasi impraticabile negli ultimi decenni a causa delle complicazioni burocratiche del governo sardo-piemontese. C’era poi la questione dell’attraversamento ferroviario attraverso le Alpi, divenuto di grande attualità fin dal 1860. Le preferenze svizzere andavano a quello del San Gottardo, mentre in Italia si preferiva l’attraversamento del Lucomagno. La Svizzera era consapevole che senza l’Italia nessun progetto si sarebbe potuto realizzare. Era quindi indispensabile che tra la Svizzera e il nuovo potente vicino si instaurassero da subito i migliori rapporti. Ovviamente anche per il nuovo Stato era del massimo interesse avere buoni rapporti con la Svizzera, non solo per questioni di vicinanza geografica, ma anche perché la sua neutralità rappresentava per l’Italia una garanzia.
Era dunque normale che la Svizzera fosse invitata subito a riconosce Vittorio Emanuele II Re d’Italia (proclamato il 17 marzo 1861) e che sia stata effettivamente tra i primi Stati a riconoscerlo. Qualche giorno prima l’incaricato d’affari della Svizzera a Torino aveva informato così il presidente della Confederazione: «credo di sapere che il riconoscimento sarà richiesto all’Inghilterra, alla Svizzera e agli Stati Uniti d’America, trattandosi delle tre nazioni meglio disposte per la causa italiana». Era la verità.
Qualche mese più tardi, in una lettera del 22 maggio 1861 da Torino, l’incaricato d’affari della Svizzera comunicava al presidente della Confederazione che «il signor Cavour desidera ardentemente la nostra amicizia e che considera la nostra integrità territoriale come il palladio [nell’antichità classica si riteneva che la statua di Pallade Atena rendesse inespugnabile la città che la custodiva] dell’indipendenza italiana».
Cavour, morto il 6 giugno 1861, non poté vedere la consacrazione di quell’amicizia ardentemente voluta, ma ne è stato sicuramente uno dei principali ispiratori. Era nel suo animo, piemontese da parte del padre e svizzero da parte della madre (ginevrina), che i due popoli e i due Stati dovessero non solo convivere ma collaborare intensamente. Il «Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia», firmato a Berna il 22 luglio 1868 e tuttora in vigore, è stato per decenni il principale punto di riferimento giuridico per l’immigrazione italiana in Svizzera e per le relazioni italo-svizzere.

Giovanni Longu
Berna 20.10.2010