13 ottobre 2010

Alptransit per unire maggiormente l’Europa

E’ ormai questione di ore: l’ultimo diaframma che ancora separa il versante nord dal versante sud della galleria di base del San Gottardo sta per essere abbattuto dalla tecnologia e dalla spinta unificatrice dell’Europa. Con questo abbattimento la Svizzera aggiunge al suo già lungo palmares un altro record, quello della galleria ferroviaria più lunga del mondo, ben 57 chilometri. Ma il significato di questo evento, programmato da tempo per il 15 ottobre, va ben oltre la conquista di un record che pure fa onore alla Svizzera. Infatti, realizzando con mezzi propri la galleria di base del San Gottardo, la Svizzera contribuisce ad avvicinare in maniera significativa il nord e il sud dell'Europa.
Può sembrare un paradosso che la Svizzera, che non fa parte dell’Unione Europea, contribuisca con un costo ritenuto da taluni esorbitante, a rendere l’Europa più vicina e più unità. Ma non è un paradosso, perché la Svizzera è e si sente una parte imprescindibile dell’Europa. Lo diceva già con una certa fierezza nel 1991, l’anno del 700° della Confederazione, il Presidente del Consiglio nazionale Ulrich Bremi, quando proprio in relazione al progetto ancora indefinito della galleria di base del San Gottardo affermò: «Su questo versante la Svizzera dimostra di essere una parte dell’Europa. La nostra è una strategia d’attacco: abbiamo qualcosa da offrire e ne siamo consapevoli. Realizzeremo il nuovo tunnel con mezzi nostri».
La Svizzera ha mantenuto i suoi impegni, con grande coraggio e grande determinazione, e l’Europa gliene dev’essere grata. Ci vorranno ancora diversi anni prima che la galleria sia terminata e i treni possano circolarvi a grande velocità, ma al ritmo attuale dei lavori non ci sono dubbi sulla riuscita finale e forse sulla riduzione dei tempi della messa in funzione della galleria più lunga del mondo.

Quanta «italianità» nello spirito gottardista!
Ad onor del vero, senza nulla togliere ai meriti della Svizzera, anche questa opera grandiosa di attraversamento delle Alpi s’iscrive in un grande progetto i cui ideatori furono più d’uno e i realizzatori molti. Tra i primi gli italiani furono protagonisti, sostenuti fortemente dai ticinesi.
Tra i fautori dell’attraversamento ferroviario del San Gottardo, fin dalla seconda metà dell’Ottocento, non si può dimenticare il milanese Carlo Cattaneo (1801-1869), allora esiliato in Ticino. Convinse dell’opzione Gottardo, fra le diverse che erano allora in discussione, il suo grande amico e primo consigliere federale ticinese Stefano Franscini (1848-1857), il quale a sua volta passò il testimone al suo successore a Berna, il locarnese Giovanni Battista Pioda (1857). Questi, dopo aver dimissionato dal Consiglio federale (1864), venne inviato come Ministro di Svizzera a Torino e uno dei suoi obiettivi fu proprio quello di convincere il governo italiano sulla giusta causa del Gottardo. E vi riuscì, grazie anche alla preparazione che aveva fatto il Cattaneo, al quale era riuscito di far cambiare idea allo stesso Conte di Cavour, prima favorevole a una ferrovia attraverso il Lucomagno.
E’ forse anche utile ricordare che lo spirito del tempo non era quello che oggi respiriamo mentre ci accingiamo a festeggiare un altro passo in avanti sulla strada dell’abbattimento degli ostacoli alle comunicazioni transfrontaliere. Allora si respirava aria di guerra e di grande diffidenza tra le nazioni europee. La scelta del Gottardo è dovuta anche a quel clima. Il Regno di Sardegna era interessato a un collegamento del porto di Genova con l’Europa centrale, ma voleva evitare assolutamente di passare nel Lombardo-Veneto ancora sotto il dominio austro-ungarico. D’altra parte, anche la Germania era interessata ad un collegamento con l’Italia, ma senza passare per il territorio francese.
A far preferire la ferrovia del Gottardo furono tuttavia soprattutto le considerazione di natura economica. Basti pensare che in Italia si riteneva che con la galleria sotto il San Gottardo «sono accorciate di 36 ore le relazioni tra il settentrione e il mezzogiorno dell’Europa e l’Italia è messa in più facile comunicazione con la Svizzera e la Germania».
Tutto divenne più facile dopo il completamento dell’unità d’Italia. Così il 17 gennaio 1871 venne firmata la Convenzione sul Gottardo tra la Svizzera, l’Italia e la Germania. Quando in Italia l'influente ministro delle finanze Quintino Sella pose la questione di fiducia sul progetto di ferrovia sotto il San Gottardo l’esito fu netto: 161 voti a favore e solo 51 contrari. Il 28 ottobre 1871 venne stipulata a Berlino la Convenzione per la costruzione della ferrovia del Gottardo, le cui ratifiche vennero scambiate a Berna il 31 ottobre 1871. E la ferrovia del Gottardo, con la galleria più lunga del mondo, allora, fu realizzata.
Non furono solo di circostanza i discorsi inneggianti alla fratellanza e alla forza del genio umano che si pronunciarono nei giorni dell’inaugurazione ufficiale. Il 21 maggio 1882, Milano accolse il treno ufficiale proveniente dal Gottardo con queste parole di benvenuto: «Milano, in nome d’Italia, saluta gli ospiti fratelli d’Elvezia e d’Allemagna convenuti per la solenne inaugurazione della Ferrovia del Gottardo». E ancora: «tolte per forza di umano ingegno le naturali barriere che dividevano l’Italia dalla Svizzera, Milano esultante applaude al nuovo trionfo della scienza e dell’industria». Anche la Camera dei deputati italiana non fu da meno nell’esprimere la propria soddisfazione per «l’opera di civiltà» compiuta, non senza tuttavia ricordare, in un ordine del giorno approvato all’unanimità nella seduta del 22 maggio 1882, «la parte efficace in essa avuta dal Parlamento, dal Governo e dalla Nazione italiana» e manifestare «la sua riconoscenza a tutti coloro che promossero ed eseguirono quell’opera».
Si direbbe che il Gottardo è divenuto da allora non solo un simbolo molto amato della Svizzera ma anche un simbolo dell’italianità volta a unificare e ad aprirsi al mondo. Un simbolo, anche, della solidità dei rapporti italo-svizzeri in tutti i campi.

Un’amicizia che continua
Da allora sono trascorsi poco più di 126 anni e ancora si continua a parlare del San Gottardo perché sta per giungere a compimento un’altra realizzazione gigantesca, ancora frutto dell’ingegno e del lavoro umano. Il 15 di ottobre sarà una grande festa per tutti gli operatori di Alptransit, ma dovrebbe esserlo per tutti gli europei e, ancora una volta, soprattutto per gli svizzeri e gli italiani. Nonostante le polemiche, anche di queste settimane tra alcuni gruppi di popolazione al di qua e al di là della frontiera comune, la galleria di base del San Gottardo rappresenterà un ulteriore passo in avanti in quel processo di amicizia e di fratellanza che fu simboleggiato nella famosa statua delle due sorelle, Svizzera e Italia, collocata alla stazione di Chiasso per ricordare la prima grande impresa ferroviaria comune.
La linea veloce sotto il San Gottardo non faciliterà soltanto gli scambi commerciali e la mobilità delle persone, ma renderà più fluidi anche tutti gli altri rapporti sociali e culturali tra l’Italia e la Svizzera e il resto d’Europa.
Sotto il profilo storico, la nuova ferrovia del San Gottardo rappresenterà anche un forte avanzamento di quel processo culturale ormai in atto da decenni in Europa e che mira a superare sempre più facilmente i confini nazionali, quelli che lo storico svizzero Denis De Rougemont chiamava le «cicatrici della storia». Sotto questo aspetto vanno sicuramente relativizzate le recenti polemiche sui frontalieri perché la prospettiva storica le ha già condannate e superate.

Guardare al futuro
Del resto, la galleria del San Gottardo più che un simbolo del presente è un’anticipazione del futuro. Basta fare anche solo una rapida visita in un cantiere di Alptransit per rendersi conto della tecnologia avveniristica utilizzata, dagli impianti per sbriciolare la roccia alla messa in sicurezza del tunnel appena scavato, dalle condizioni generali di lavoro per quanto possibile a misura d’uomo ai sofisticati sistemi di sicurezza, alle precauzioni ambientali.
La presenza impressionante della tecnologia sembra mettere in secondo piano l’uomo, abituati come siamo a vedere secondo l’iconografia tradizionale sempre l’uomo in primo piano negli scavi di gallerie, magari con picco e pala o alla guida di perforatrici che oggi è giusto chiamare «primitive». Un omino costantemente messo in pericolo dalla durezza della roccia, dal caldo, dall’aria insalubre, dall’illuminazione scarsa, dal rumore assordante degli scoppi della dinamite, dalla fatica disumana. Oggi per fortuna non è più così: l’uomo è soprattutto un tecnico, governa le macchine, le fa scorrere sui binari, le dirige, le punta, le fa penetrare nella roccia, osserva l’avanzamento su monitor a cui nulla sfugge, fa in modo che tutto proceda come minuziosamente previsto e programmato.
Anche l’uomo tecnologico, tuttavia, è conscio che i pericoli non sono mai ridotti a zero e purtroppo anche Alptransit deve contare le sue vittime, molto poche rispetto a tutti i grandi lavori ferroviari precedenti, ma sempre troppe, anche italiane, sebbene che in questo cantiere del secolo gli italiani non siano né gli unici (come lo furono nello scavo della prima galleria) né i più numerosi. Oggi nel ventre della montagna oltre agli italiani s’incontrano facilmente tedeschi, austriaci, polacchi, svedesi e persino svizzeri. Anche questa mescolanza è un segno dei tempi. Un’anticipazione del prossimo futuro?
Quel che Willi Hermann, l’autore del film «San Gottardo» (1977), disse della prima galleria ferroviaria e del traforo autostradale è sicuramente ancor più vero oggi e soprattutto domani: «sono buchi che hanno modificato la storia, del Ticino, dell’Europa».

Giovanni Longu
Berna 13.10.2010