01 luglio 2010

Plurilinguismo: per la Deputazione il compito continua

Plurilinguismo: per la Deputazione il compito continua
Il 1° luglio è entrata in vigore la tanto attesa ordinanza sulle lingue. La prima a gioirne sembra essere la Deputazione ticinese alle Camere federali, a cui va dato atto di essersi adoperata molto per ottenere dapprima la legge e ora l’ordinanza. Sarebbe tuttavia un errore pensare che il suo compito sia finito con l’approvazione della legge e la consegna alla Cancelliera della Confederazione, il 1° giugno, di un «Manifesto per il plurilinguismo nell’Amministrazione federale». Al contrario, il lavoro serio e costante comincia solo ora. Sta infatti soprattutto alla Deputazione vigilare e controllare che la legge e l’ordinanza vengano applicate correttamente, almeno per quel che riguarda l’italiano.
E’ vero che l’ordinanza prevede, ad esempio, che gli italofoni nell’Amministrazione federale siano almeno il 7 per cento e che spetta al delegato al plurilinguismo «raccogliere informazioni e riferire sulla rappresentanza delle comunità linguistiche e sullo sviluppo del plurilinguismo nell’Amministrazione federale», ma sta alla Deputazione vigilare e, se il caso, intervenire con gli strumenti parlamentari adeguati. L’ombudsman richiesto dalla Deputazione non è stato infatti concesso, se non con competenze limitate, in quanto il delegato non ha alcun potere vero di mediazione, d’investigazione e d’intervento.
In Svizzera, al di fuori del Ticino, l’italiano è in forte crisi, come ampiamente dimostrato dalle statistiche, dal progetto di ricerca sul plurilinguismo del Fondo nazionale PNR 56, e dalla stessa scarsa rappresentanza italofona nell’Amministrazione federale. Alcuni anni fa, la Consigliera federale Ruth Dreifuss da me interpellata in merito alle competenze del Cantone Ticino circa la promozione dell’italiano fuori del proprio territorio, mi assicurò che il Ticino riceveva contributi finanziari per la difesa dell’italiano anche fuori del Cantone. Da parte cantonale, tuttavia, veniva dichiarata la propria incompetenza ad agire oltre i propri confini.
Oggi, questo ostacolo è dichiarato ufficialmente inconsistente perché l’ordinanza sulle lingue prevede espressamente all’art. 23 che la Confederazione concede «aiuti finanziari al Cantone Ticino per sostenere attività sovraregionali di organizzazioni e istituzioni, segnatamente per: a) progetti di salvaguardia e promozione del patrimonio culturale; b) misure di promozione della creazione letteraria; c) l’organizzazione e lo svolgimento di manifestazioni linguistiche e culturali».
Si spera quindi che il Ticino si avvalga di questi aiuti finanziari per promuovere e sostenere attività promozionali e di salvaguardia anche fuori dei confini cantonali. E’ tuttavia necessario che le autorità ticinesi possano contare al di fuori del Cantone su enti, organizzazioni e persone italofone, svizzere e straniere, motivate a promuovere e valorizzare il ricco patrimonio linguistico e culturale italiano. L’italiano potrà essere salvato solo attraverso un sistema di sinergie.
Bastano questi esempi per sottolineare che il compito del Cantone Ticino e in particolare della Deputazione ticinese alle Camere federali è tutt’altro che esaurito con l’entrata in vigore della legge e dell’ordinanza sulle lingue. Un primo bilancio si potrà già tirare fra un anno, quando verranno presentate le nuove statistiche sulla ripartizione del personale federale, o anche prima se nel frattempo ci saranno sostituzioni importanti in seno agli Uffici federali e magari nello stesso Consiglio federale.
Giovanni Longu
Berna, 1° luglio 2010
[Pubblicato in: Giornale del Popolo del 5.7.2010, Corriere del Ticino dell'8.7.2010, La RegioneTicino dell'8.7.2010]

30 giugno 2010

Tre baluardi a difesa dell’italianità in Svizzera

Col rientro in patria di molti italiani della prima generazione e la crescita esponenziale delle seconde e terze generazioni, spesso nemmeno più italofone, da alcuni decenni l’italiano parlato e studiato in Svizzera perde costantemente utilizzatori e conoscitori. E’ come un malato (grave) che s’indebolisce sempre di più e rischia purtroppo di esaurirsi come una pianta a cui non giunge più linfa vitale. E siccome il fenomeno è interessante sotto il profilo scientifico, sono in molti ormai che lo osservano, lo studiano, lo analizzano, organizzano convegni e tavole rotonde. Linguisti, sociologi, psicologi, discutono, scrivono e concludono inevitabilmente che la situazione è grave, forse irrimediabile. Trattandosi di «esperti», le loro conclusioni non vanno minimizzate, ma forse nemmeno drammatizzate.
Intanto va detto che l’italiano in Svizzera è sì in crisi, ma non dappertutto. Lo è sicuramente nella Svizzera tedesca e francese, ma non nel Ticino e in una parte dei Grigioni, dove l’italiano gode ottima salute e non desta timori circa la sua vitalità. Il Ticino, grazie alla sua solidità, rappresenta un baluardo sicuro per la lingua di Dante e per l’italianità in generale anche fuori del Cantone, dove è particolarmente minacciato. Ma non è l’unico. Anche la Confederazione è schierata in difesa del plurilinguismo e quindi anche dell’italiano come lingua nazionale e lingua ufficiale. Infine, ma non ultimo, anche lo Stato italiano rappresenta un fondamentale riferimento istituzionale per la promozione e la salvaguardia della lingua e della cultura italiane in Svizzera.
Quando si affronta la tematica della crisi dell’italiano in Svizzera non si dovrebbe mai dimenticare l’esistenza di questi tre baluardi. Presi individualmente, tuttavia, essi sono deboli. Per essere efficaci dovrebbero interagire.

Il Ticino
Il Ticino ha sempre avuto, storicamente e istituzionalmente, il compito di garantire nella Confederazione la componente italiana. Sentendosi a sua volta minacciato, questo Cantone ha provveduto soprattutto a garantire la propria identità linguistica e culturale, dimenticandosi molto spesso che la lingua e la cultura italiane andavano salvaguardate anche nel resto della Svizzera. Alcuni anni fa, interpellai al riguardo la Consigliera federale Ruth Dreifuss, che mi assicurò che il Ticino riceveva contributi finanziari per la difesa dell’italiano anche fuori del proprio territorio. Da parte cantonale, tuttavia, veniva dichiarata la propria incompetenza ad agire oltre i propri confini. Oggi, grazie alla legge sulle lingue e alla relativa ordinanza d’applicazione, in vigore dal 1° luglio, questo ostacolo sembra superato.
L’ordinanza sulle lingue prevede espressamente all’art. 23 che la Confederazione concede «aiuti finanziari al Cantone Ticino per sostenere attività sovraregionali di organizzazioni e istituzioni, segnatamente per: a) progetti di salvaguardia e promozione del patrimonio culturale; b) misure di promozione della creazione letteraria; c) l’organizzazione e lo svolgimento di manifestazioni linguistiche e culturali». Si spera quindi che il Ticino si avvalga di questi aiuti finanziari per promuovere e sostenere attività promozionali e di salvaguardia anche fuori dei confini cantonali. E’ altresì auspicabile che sorgano soprattutto nei principali centri urbani della Svizzera tedesca e francese iniziative e progetti atti a mettere in luce il ricco patrimonio linguistico e culturale italiano. Spetterà poi al Cantone la responsabilità di onorare gli impegni che attraverso la legge e l’ordinanza sulle lingue si è assunto.

La Confederazione
La Confederazione è il garante istituzionale del plurilinguismo elvetico, conformemente al dettato costituzionale e ora anche alla nuova legge sulle lingue nazionali e la comprensionetra le comunità linguistiche. In questo quadro, essa garantisce ogni anno migliaia di traduzioni soprattutto in francese e italiano che consentono la stessa informazione all’insieme della popolazione. Si tratta non solo di pubblicazioni ufficiali (come leggi e ordinanze) ma anche di rapporti, opuscoli informativi, analisi, raccomandazioni, ecc.
La Confederazione è anche un importante datore di lavoro che occupa non solo svizzero-tedeschi, ma anche francofoni e italofoni. Con la recente ordinanza sulle lingue s’impegna anche a raggiungere nell’Amministrazione federale determinate quote in rappresentanza delle quattro comunità linguistiche nazionali.
E’ interessante osservare che la quota fissata per gli italofoni è ora del 7%, dopo che per quasi un decennio era rimasta bloccata al 4,3%. E’ stato un errore gravissimo, perché ha consentito l’abbassamento generale e forse irrimediabile della rappresentanza italofona, soprattutto in alcuni Dipartimenti. Per il raggiungimento del nuovo obiettivo occorrerebbe una volontà di ferro dell’intero Consiglio federale, che dovrebbe esigerlo anche in quei Dipartimenti dove lo squilibrio delle lingue è maggiore, ed esigerlo a tutti i livelli gerarchici. Ma ce l’ha il governo una simile determinazione? Il dubbio è legittimo.
Sarà difficile che il nuovo obiettivo possa essere raggiunto anche perché il sistema di controllo previsto dall’ordinanza è obiettivamente fragile. Esso è affidato essenzialmente alla figura del delegato al plurilinguismo, che non ha le competenze che avrebbe potuto avere un ombudsman parlamentare (cioè eletto e non un dipendente di un ufficio federale). L’ordinanza gli assegna in particolare i compiti di «a) trattare le questioni in materia di plurilinguismo sollevate in seno al Parlamento e all’Amministrazione; b) sensibilizzare, consigliare e sostenere le persone e le unità amministrative di cui al capoverso 1 in merito al plurilinguismo nell’ambito del reclutamento e dello sviluppo del personale; c) raccogliere informazioni e riferire sulla rappresentanza delle comunità linguistiche e sullo sviluppo del plurilinguismo nell’Amministrazione federale» e di esprimere pareri e formulare raccomandazioni. Si tratta, come si vede, di compiti importanti, ma non tali da consentire al delegato al plurilinguismo di intervenire in piena autonomia e con autorevolezza nelle situazioni più critiche con reali poteri di mediazione, d’investigazione e di raccomandazione.
La Confederazione resta indubbiamente il garante principale del plurilinguismo in Svizzera, ma il suo ruolo non va sopravvalutato. Tanto la legge che l’ordinanza sulle lingue si basano infatti su un fragile equilibrio tra Confederazione e Cantoni, per cui la prima non può nulla imporre ai secondi in materia linguistica, ma può solo concedere aiuti finanziari (obiettivamente molto modesti) per sostenere determinate iniziative. E se queste iniziative mancano? La Confederazione non può sostituirsi ai Cantoni. La responsabilità principale del plurilinguismo incombe dunque sui Cantoni ed è ancora tutto da dimostrare che abbiano interesse a salvare per esempio l’italiano. Di fatto, in quasi tutti i Cantoni l’offerta di corsi d’italiano nella scuola pubblica e nell’università è in forte calo e non ci sono segni di inversione di tendenza.

Lo Stato italiano
In un’analisi seria del plurilinguismo elvetico, almeno per quel che riguarda la presenza e lo sviluppo dell’italiano e dell’italianità in Svizzera, non c’è dubbio che lo Stato italiano svolga un ruolo di primo piano. Basti pensare alla continua assistenza prestata in tutti i campi ormai da quasi 150 anni a centinaia di migliaia di cittadini italiani qui immigrati. Basti ricordare l’organizzazione e il finanziamento di innumerevoli scuole italiane e migliaia di corsi di lingua e cultura italiane. Senza dimenticare il sostegno a una miriade di associazioni e istituzioni pubbliche e private di italiani, che hanno determinato un’ampia diffusione della lingua e della cultura italiane in tutti gli angoli della Svizzera. Se ancora oggi l’italiano è così diffuso (si pensi che nel 2000 lo parlava almeno saltuariamente circa un milione di persone!) molto si deve all’intervento diretto o indiretto dello Stato italiano.
Purtroppo però da alcuni anni il sostegno pubblico italiano tende a ridursi. In molti gridano allo scandalo. Altri cominciano a rendersi conto che i corsi di lingua e cultura stanno rapidamente esaurendo lo scopo per cui furono istituiti e sviluppati negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Occorre anche dire che i processi d’integrazione, dapprima lenti e poi sempre più rapidi, rendono meno necessari certi interventi statali di tipo assistenziale.
Il ruolo dello Stato italiano diviene dunque secondario nella salvaguardia dell’italiano e dell’italianità in Svizzera? Niente affatto, anche perché la valorizzazione del patrimonio culturale italiano resta anche compito dell’Italia. Le forme degli interventi, tuttavia, è giusto che cambino, devono cambiare.

Collaborazione indispensabile
A Zurigo, dove c’è la più forte concentrazione d’italofoni fuori del Ticino, si stanno sperimentando nuove forme che meritano grande attenzione. Si è riusciti a costituire un «polo scolastico» riconosciuto l’anno scorso dal Cantone quale «scuola bilingue/biculturale italiano-tedesco». Le autorità consolari stanno inoltre cercando, finora con successo, di rilanciare la Casa d’Italia di Zurigo «come luogo di incontro per la collettività italiana, attraverso l’organizzazione di eventi culturali ed altre manifestazioni a favore dei connazionali e delle loro associazioni, unitamente agli amici svizzeri ed italofoni». Si notano molti segni di apertura e sostegno culturale da parte del locale Centro Studi Italiani. Sul modello, ancora incompiuto ma già ben delineato di Zurigo, si stanno muovendo anche altre realtà a forte presenza italiana, a Basilea, a Ginevra, a Berna.
Ovunque ci si rende conto che la salvaguardia dell’italianità passa ormai per altre forme rispetto al passato. Ma in tutto questo movimento c’è una novità: oggi l’italianità può essere difesa solo stando INSIEME. E’ divenuto un compito che spetta congiuntamente al Ticino (ticinesi), alla Confederazione (italofoni), ai Cantoni e allo Stato italiano (italiani). Solo insieme sarà possibile valorizzare e persino sviluppare la lingua e la cultura italiana nelle sue molteplici espressioni. Solo coinvolgendo direttamente i Cantoni e le grandi Città sarà possibile d’ora in poi sviluppare i corsi d’italiano nell’ambito della scuola locale (oggi è possibile grazie alla legge federale sulle lingue). Solo valorizzando insieme il potenziale dell’italofonia sarà possibile garantire nell’Amministrazione federale una presenza efficace e non solo simbolica della lingua e della cultura italiana. Solo con una stretta, leale e costante collaborazione tra italiani, ticinesi e altri italofoni sarà possibile rivitalizzare le associazioni più innovative, realizzare iniziative e progetti culturali nell’ambito dell’italofonia e della cultura italiana, mantenere viva anche nella Svizzera tedesca e francese una tradizione d’italianità che ben s’inserisce nel ricco panorama culturale svizzero.
Giovanni Longu
Berna 30.06.2010