02 giugno 2010

5. Il voto del 7 giugno 1970 segnò la storia della migrazione (italiana) in Svizzera

Quarant’anni fa, 1970: anno cerniera per l’immigrazione italiana in Svizzera

Quarant’anni fa, il 7 giugno 1970, il popolo svizzero venne chiamato a votare su un’iniziativa popolare che mirava a ridurre drasticamente il numero degli stranieri presenti in Svizzera e ancorare nella Costituzione che la loro proporzione nei singoli Cantoni non doveva superare il 10% (nel Cantone di Ginevra il 25%) della popolazione svizzera. Accettandola, avrebbe cambiato probabilmente la storia svizzera, mentre rifiutandola avrebbe incoraggiato il Governo federale a proseguire una politica migratoria orientata sempre più al controllo e all’integrazione degli stranieri.

Tutte le forze politiche e sindacali, gli ambienti economici, le chiese, i media erano scesi in campo per lo più contro l’iniziativa promossa dalla destra nazionalista e xenofoba guidata da J. Schwarzenbach. Per il governo, la sua accettazione avrebbe provocato gravi perturbazioni economiche e la chiusura di diverse imprese, con grave danno non solo all’economia ma anche alla manodopera svizzera. Pur senza conoscere i dettagli dell’iniziativa e le possibili conseguenze, l’opinione pubblica percepiva chiaramente che si trattava di una decisione importante, forse decisiva, per l’avvenire del Paese. Accettarla significava per i fautori la salvezza dal pericolo dell’«inforestierimento», mentre per gli avversari avrebbe comportato una rottura traumatica sul piano interno e internazionale (si parlò di una vera e propria «sciagura nazionale») dalle conseguenze imprevedibili.
La situazione
Il tema era alquanto delicato perché riguardava direttamente o indirettamente oltre un milione di stranieri (su una popolazione complessiva di 6,2 milioni di abitanti). Il loro numero e il loro ritmo di accrescimento (anche grazie alle seconde generazioni) in certi ambienti faceva paura, anche perché si trattava di una popolazione poco integrata. In effetti la distanza tra svizzeri e stranieri era enorme. Come se le due comunità, pur vivendo l’una accanto all’altra, non si conoscessero o facessero finta di non sapere nulla l’una dell’altra. I contatti era limitati all’essenziale. L’incomunicabilità era quasi totale, persino tra i giovani.
Quando, qualche anno più tardi, chiesi a Schwarzenbach perché ce l’avesse tanto contro gli italiani, mi rispose che egli non ce l’aveva affatto contro gli italiani, ma semmai contro le «sottoculture» e soprattutto contro «quei datori di lavoro senza scrupoli che fanno venire da noi lavoratori stranieri a buon mercato, senza alcuna informazione sulla Svizzera, senza alcuna preparazione, senza nemmeno sapere esattamente cosa avrebbero poi fatto nelle nostre fabbriche, con la sola prospettiva o l’illusione di restare qui alcuni anni, isolati nei loro ghetti, guadagnare un po’ di soldi e tornarsene al proprio Paese, altro che sforzarsi di capire il nostro mondo o assimilarsi al nostro modo di vivere...!».
Evidentemente la proposta di Schwarzenbach non era la migliore per risolvere i problemi, ma li metteva in luce. Gli stranieri non potevano restare relegati nei ghetti, non potevano continuare a servirsi di strutture parallele (asili nido, scuole, chiese, ritrovi, ecc.), non potevano continuare a vivere in questo Paese senza sentire il bisogno e la possibilità d’integrarsi. L’iniziativa Schwarzenbach interpellava correttamente il popolo sovrano per decidere la strada da seguire. La responsabilità dei votanti era enorme perché, al di là della questione già grave riguardante il numero di stranieri da tenere o da rinviare al loro Paese d’origine, si trattava di scegliere un modello di Stato, un tipo di politica a lunga durata, una scelta di campo chiara di fronte all’Europa e al mondo.
La vigilia della votazione
Il clima precedente la votazione del 7 giugno 1970 era a dir poco difficile e teso. La propaganda dei fautori dell’iniziativa era molto capillare e faceva leva sulle paure e sulle frustrazioni soprattutto della classe operaia svizzera (lavoro, salari, abitazioni, ecc.). Tendeva ad evidenziare gli aspetti negativi della presenza massiccia degli immigrati, soprattutto italiani, esasperando e generalizzando singoli episodi o situazioni particolari. Persino alcune caratteristiche degli italiani che tradizionalmente erano considerate positive, come la laboriosità, il senso del risparmio, il senso della famiglia, il saper vivere, venivano presentate in negativo. Si ammetteva ad esempio che gli italiani erano dediti al lavoro, ma si rimproverava loro di preferire la quantità (il cottimo) a scapito della qualità e di danneggiare altri colleghi di lavoro facendo abbassare i tempi di lavorazione. Il risparmio non era più considerato una virtù ma un vizio, perché, si diceva, pur di risparmiare gli italiani preferiscono vivere come straccioni, abitare in catapecchie, sfruttare la Svizzera per portare e spendere i guadagni in Italia. Agli italiani rimproveravano soprattutto di vivere qui ma con la testa altrove, di non adattarsi alle regole e alle tradizioni di questo Paese, di non fare nemmeno lo sforzo d’imparare la lingua locale rendendo praticamente impossibile la comunicazione.
Gli avversari dell’iniziativa più che fare appello a sentimenti umanitari o ai principi di una politica liberale in linea con le aperture dell’Europa, facevano leva anch’essi sul sentimento di paura per le inevitabili gravi conseguenze che l’accettazione dell’iniziativa avrebbe comportato.
Una votazione «storica»
L’importanza di quella votazione, a giusta ragione definita da molti commentatori dell’epoca «storica», è data soprattutto dall’alta partecipazione dei votanti, la più alta in assoluto dopo quella record del 6 luglio 1947 quando, con una partecipazione del 79,7 per cento, fu approvata la legge sull'AVS. Per l’iniziativa Schwarzenbach si recò alle urne il 74,7% degli aventi diritto (allora solo uomini perché le donne non avevano ancora ottenuto il diritto di voto), una percentuale mai più superata.
Un altro elemento importante da sottolineare è che lo scarto tra i favorevoli e i contrari era assai ridotto, solo 8 punti percentuali (46% di sì contro 54% di no). Un risultato che si prestava a molteplici interpretazioni e che non lasciò indifferente nessuno.
Fu indubbiamente un grande risultato della democrazia elvetica e una vittoria, anche se di stretta misura, del buon senso. Ma l’alta percentuale dei voti favorevoli all’iniziativa non poteva non costituire un elemento di preoccupazione.
Se l’iniziativa di Schwarzenbach fallì non fu infatti per le idee, ma per paura delle conseguenza che la sua accettazione avrebbe comportato: una perdita di alcune centinaia di migliaia di lavoratori stranieri in pochi anni avrebbe potuto indurre un tracollo dell’intera economia svizzera e una perdita d’immagine a livello internazionale gravissima.
La paura è stata la vera protagonista di questa come di altre votazioni dello stesso tipo. Si sono affrontati due tipi di paura: quella di avere in Svizzera troppi stranieri e quella delle conseguenze che avrebbe provocato la loro riduzione forzata. Non è stata una votazione a favore degli stranieri, per migliorarne le condizioni.
Le reazioni
Conosciuto l’esito della votazione, molti tirarono un respiro di sollievo. L’economia, anzitutto, perché poteva ancora attingere dal serbatoio della manodopera estera. Ma anche il governo, responsabile della politica nei confronti degli stranieri e gli stessi immigrati, soprattutto gli italiani.
Il governo lesse il verdetto come l’espressione della volontà del popolo svizzero «di risolvere in modo equilibrato e con lo spirito delle nostre tradizioni i problemi culturali, umani ed economici connessi con la presenza di un gran numero di cittadini stranieri».
In realtà il Consiglio federale, pur confortato dall’esito della votazione, sentiva fortemente la responsabilità che quel rigetto dell’iniziativa comportava. Doveva cambiare radicalmente atteggiamento nei confronti degli immigrati. Dove avviare decisamente la strada delle riforme per favorire l’accoglienza e l’integrazione degli stranieri.
Anche i sindacati, videro nel rigetto dell’iniziativa la conferma delle loro tesi che chiedevano al governo di chiudere definitivamente la lunga fase politica del «laisser faire, laisser aller» del dopoguerra e di avviare nei confronti degli stranieri una nuova politica basata su queste grandi linee: «contingentamento globale della popolazione estera, maggiore mobilità della mano d'opera: stabilizzazione quale premessa a un 'ulteriore riduzione e liberalizzazione del mercato del lavoro quale premessa alla libera circolazione. E soprattutto provvedimenti che diano il via ad una autentica politica d'integrazione della popolazione estera quale presupposto all'assimilazione».
Gli stranieri e specialmente gli italiani furono ovviamente soddisfatti dell’esito della votazione. L’ambasciatore d’Italia Enrico Martino si rallegrò che «la maggioranza del popolo svizzero sia stata fedele alle sue tradizioni di paese libero ed ospitale» e che «il risultato di questa votazione, avendo riportato la serenità nella massa dei lavoratori stranieri, potrà costituire un valido contributo non solo al benessere della Svizzera, ma altresì ai rapporti tra quest'ultima e i Paesi che hanno qui molti lavoratori».
In realtà la serenità tra i lavoratori stranieri, soprattutto tra gli italiani, non era affatto ritornata. La tragedia era stata evitata e questo rappresentava per tutti un grande sollievo, ma quel risultato, per quanto positivo, sapeva tanto di amaro. Si percepiva chiaramente che i seguaci di Schwarzenbach si erano rafforzati e avrebbero continuato la loro offensiva xenofoba. E poi, sapevano benissimo che molti di coloro che avevano votato contro l’iniziativa non l’avevano fatto per amore o rispetto degli stranieri, ma per opportunismo e per convenienza. Inoltre, quel numero così elevato di fautori dell’iniziativa non poteva scacciare il pensiero che, magari tra gli stessi compagni di lavoro, una persona su due era forse favorevole a rimandare a casa una parte consistente di lavoratori immigrati.
Le conseguenze di quella votazione, come si vedrà in altro articolo, furono immense. Determinarono anche la storia della collettività italiana in Svizzera.
(Gli altri articoli di questa serie sono apparsi il 10.3.2010, il 7.4.2010, il 28.4.2010 e il 5.5.2010)
Giovanni Longu
Berna 2 giugno 2010