17 febbraio 2010

E’ possibile governare senza morale?

Non c’è giorno senza che i media ci propongano esempi di malgoverno, malagiustizia, arroganza politica, malasanità, scandali, loschi affari di ordinaria corruzione, arresti eccellenti, galere che scoppiano, falsi pentiti che tentano di uscirne o di riabilitarsi con calunnie e «verità» inverosimili, abuso d’ufficio e quant’altro.
Il fatto che se ne parli significa che c’è un’attenzione particolare dei cittadini alle manchevolezze dello Stato e l’esigenza di un buon governo. Il fatto che se ne parli quotidianamente indica invece che il malcostume è dilagante perché, si sa, ciò che viene alla luce è solo la punta dell’iceberg.
Molti cittadini sembrano alquanto disorientati, perché si aspettano dalla politica buone leggi, dal governo servizi efficienti e dalla magistratura giudizi imparziali e certi, ed invece la cronaca quotidiana è piena di tutto ciò che in Italia non funziona, soprattutto nella vita pubblica. In certi settori sembrerebbe di avere a che fare non con «servitori dello Stato» ma con «asserviti al potere», persone egoiste, avide, corrotte, dedite più al profitto personale che al bene comune.
Periodicamente, non solo in Italia, ma verrebbe da dire soprattutto in Italia, si ripropone il problema morale all’interno di tutte le istituzioni dello Stato. Nonostante che, dai tempi di Machiavelli, si sia cercato costantemente di espellere la morale dalla politica, inevitabilmente i quotidiani esempi di malfunzionamento delle istituzioni sollecitano una risposta alla questione se è possibile governare (in senso largo) prescindendo dalle norme morali che dovrebbero presiedere a tutti i comportamenti umani, anche in politica.
Si dirà che nella sfera pubblica la legalità basta e avanza, ma non è esattamente così. In molti campi moralità e legalità coincidono, in altri no. Se uno ruba, ad esempio, non viola solo il settimo comandamento della religione cristiana, ma compie anche un reato sanzionato dal codice penale. Se una classe politica, invece, non riesce ad approvare una buona legge nei tempi giusti, pur non violando alcuna legge non è detto che non violi alcuna norma morale.
L’immoralità nel fare e… nel non fare
Certamente è soprattutto nel fare che emerge l’illegalità e l’immoralità, ma c’è molta immoralità anche nel non fare. Qualche esempio per chiarire il concetto.
I lettori probabilmente ricordano il tentativo della magistratura di porre fine a una certa pratica illegale assai diffusa nella Prima repubblica: finanziamento illecito dei partiti, corruzione, commistioni poco chiare tra pubblico e privato, tangenti (da cui è derivato Tangentopoli), ecc. Era l’epoca di «Mani pulite».
Se uno si chiedesse oggi che ne è stata di quella vasta operazione giudiziaria degli anni Novanta, la tentazione di rispondere che è servita a nulla o a ben poco appare scontata, soprattutto alla luce di quel che ogni giorno comunicano i media. Per molti non è stata altro che un tentativo (in buona parte fallito) di porre rimedio a una certa degenerazione della politica, per altri è stata un tentativo (oggi molto controverso) di accreditare la magistratura come potere supremo, garante della legalità e dell’ordine democratico. In effetti l’operazione «Mani pulite» è servita a sanzionare alcuni colpevoli, ma non è servita a modificare i cattivi sentimenti di molte persone, che magari in altre forme hanno proseguito nel malaffare.
Inutile negare che sul banco degli accusati di comportamenti «immorali», nel senso ampio del termine, ci dovrebbero essere molti politici e uomini dello Stato, non tanto per fatti comprovati di illegalità, quanto appunto per comportamenti moralmente inadeguati al ruolo che rivestono. Anche per questi, in molti cittadini, regna un grande disorientamento su ciò che la politica potrebbe o dovrebbe fare e invece non fa.
La politica, l’arte del buon governo per risolvere i problemi di un popolo, sembra spesso regolata non tanto dalla preoccupazione del bene comune, quanto da interessi corporativi e opportunistici, difficilmente sanzionabili legalmente ma sicuramente condannabili moralmente. L’opportunismo (una categoria morale per lo più non sanzionabile legalmente) sembra stabilire non solo le azioni della politica ma anche i tempi e i modi.
Il caso Berlusconi è emblematico. I politici (e i partiti) non riescono a decidere concordemente se è prioritario, per il bene comune, che egli, in quanto capo del governo, continui a governare normalmente (come vorrebbe la maggioranza degli italiani che gli hanno dato fiducia alle ultime elezioni) o debba dimettersi subito per sottoporsi a un giudizio incerto di un tribunale, oppure si possa rinviare il processo alla scadenza del suo mandato. Credo che questa indecisione sia politicamente ma anche moralmente inaccettabile perché i cittadini hanno diritto di chiarezza e di certezza al riguardo.
La giustizia in Italia
La giustizia, in Italia come in ogni Paese, dovrebbe dare il buon esempio. Eppure, anche in questo settore, è evidente che va fatta un’attenta riflessione morale, oltre a quella istituzionale di cui molto si parla in questi ultimi mesi. Qui a dire il vero i casi di illegalità sono piuttosto rari, ma probabilmente non perché siano inesistenti bensì perché è più difficile provarli. Ciononostante, le cronache sono piene di testimonianze di malfunzionamento degli apparati, interventi giudiziari ad orologeria, avvisi di garanzia a pioggia, intercettazioni telefoniche di natura strettamente privata date in pasto ai media senza ritegno alcuno, lentezza dei processi, troppa spettacolarizzazione, detenuti in attesa di giudizio da anni, ecc.
E’ invece rarissimo venire a sapere se qualche magistrato è stato anche solo accusato e chiamato in giudizio per essere stato troppo superficiale nelle indagini o troppo affrettato nelle conclusioni, troppo accondiscendente nei confronti dei media, condizionato nell’emettere una sentenza non sufficientemente motivata, ecc. ecc.
Eppure se un imputato viene assolto nel corso del processo è evidente che qualche errore è stato commesso nelle fasi precedenti. Perché nessuno è mai responsabile e paga per errori del genere? E’ mai possibile che nell’ordine giudiziario la responsabilità sia sempre impersonale (carenza di organici, troppi arretrati, mancanza di risorse, ecc.) o addirittura non esistano affatto responsabilità? Ma che razza di giustizia è mai quella che ammette l’errore senza chiedersi chi l’ha commesso, soprattutto se certi errori pesano gravemente sulla vita delle persone coinvolte.
Nei giorni scorsi è esploso il caso Bertolaso, che si dichiara «servitore dello Stato» eppure indagato per reati gravi che avrebbe commesso nell’esercizio delle sue funzioni. In questo come in migliaia di casi simili, riguardanti magari personaggi di minore notorietà, si dice abitualmente «sarà la magistratura a verificare e a decidere». Un bel dire, senza domandarsi perché mai il cittadino Bertolaso o chiunque nelle stesse condizioni venga mediaticamente umiliato e passato al «tritacarne», condannato prima ancora di essere stato ascoltato da un magistrato per potersi difendere. E se questo cittadino risultasse in definitiva innocente, quale magistrato potrà mai ridargli la serenità o compensarlo per l’umiliazione subita? Ma davvero è accettabile oggi una giustizia così spietata, ossia senza alcuna pietà o, come dicono i dizionari dei sinonimi, «crudele, barbara»? E può la giustizia prescindere dal rispetto della dignità della persona dell’indiziato e persino del condannato? E perché nessun magistrato (la «casta») paga per errori commessi per imprudenza, superficialità e persino voglia di protagonismo?
Anche la Svizzera s’interroga
Non vorrei, a questo punto, che si ritenesse solo lo Stato italiano nella condizione di dover fare un attento esame di coscienza. Ogni Stato ha infatti le proprie carenze e le proprie ipocrisie. La Svizzera non fa eccezione, anche se a livello pubblico, è un Paese che ha meno pecche di altri.
Proprio nelle scorse settimane anche in questo Paese è stata avviata una sorta di esame di coscienza a proposito di una condizione che già in passato aveva suscitato qualche riflessione critica. Mi riferisco in particolare a certi interventi del sociologo e politico Jean Ziegler, uno dei quali portava il titolo «La Svizzera lava più bianco» (1990). Nel frattempo la Svizzera si è data un’ottima legislazione contro il riciclaggio di denaro sporco, ma la riflessione morale continua e sono sempre più numerosi coloro che s’interrogano se sia ancora sostenibile accettare denaro evaso al fisco dei Paesi di provenienza (anche se per la legislazione svizzera l’evasione non è reato). Ormai si dà per certo che presto verrà abbandonata la distinzione tra frode ed evasione fiscale.
L’aspetto morale nella politica in generale è stato sollevato recentemente dalla Svizzera anche a livello internazionale. La Germania si trovava a dover decidere se acquistare o rifiutare un CD contenente un elenco di evasori fiscali tedeschi. Senonché quel CD è stato copiato illegalmente e la Svizzera ha sollevato la questione se uno Stato di diritto come la Germania possa acquistare il frutto evidente di un reato. La Germania, invocando proprio la ragione di Stato, ha acquistato l’elenco, ma per la Svizzera evidentemente il principio machiavellico del fine che giustifica i mezzi non elimina il problema morale anche negli affari fra Stati. Un altro capitolo, dunque, destinato a far discutere.
A mo’ di conclusione si potrebbe dire che prima o poi la questione morale finisce per riguardare non solo gli individui ma anche i corpi sociali, i partiti politici, le banche, i governi, gli Stati. Quando questa consapevolezza sarà maggioritaria in un Paese sarà un buon segno perché stabilirà la preminenza del bene comune su qualunque forma di egoismo, ma farà anche comprendere che a beneficiarne saranno tutti o almeno la stragrande maggioranza.
Giovanni Longu
Berna 14.2.2010