13 gennaio 2010

Buon Anno, Italia e Svizzera

(L'ECO, 13.01.2010)
Il passaggio dall’anno vecchio a quello nuovo è tradizionalmente l’occasione più generale per farsi reciprocamente i migliori auguri, per esprimere desideri e abbozzare qualche buon proposito. Lo fanno tutte le persone normali, ma non sfuggono alla tradizione nemmeno i capi di Stato e di governo.
In Italia, a formulare i migliori auspici per l’intera nazione è stato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in Svizzera la Presidente della Confederazione Doris Leuthard. Nonostante i contesti assai diversi, generalmente questi discorsi augurali si rassomigliano a tal punto che molti li danno per scontati prima ancora di sentiti o leggerli. Non dovrebbe essere così, perché offrono talvolta utili spunti di riflessione, come quest’anno.
Sovente l’attesa dei cittadini è molto bassa, perché sanno in partenza che questi discorsi non contengono risposte alle loro domande e ai loro problemi. Essi vorrebbero soluzioni o almeno promesse rincuoranti e qualche buon proposito. Invece questi discorsi ufficiali si limitano per lo più a passare in rassegna i principali problemi della nazione, ad indicare qualche via di soluzione e a formulare i soli buoni auspici, invocando magari, come ha fatto la Presidente della Confederazione, «la benedizione di Dio». Ma dove sono i buoni propositi? Semplicemente non ci sono.
In Italia, è vero, il Presidente della Repubblica si è impegnato ad esercitare fino in fondo il suo dovere di richiamare i contendenti alla moderazione dei toni e al dialogo costruttivo. Non c’è motivo per non ritenere che onorerà l’impegno. Ma quanto vale? Ben poco, perché il dialogo non dipende certo da lui e non può certo obbligare maggioranza ed opposizione a smetterla di litigare e cominciare a collaborare, come i cittadini italiani si attendono ormai da mesi e da anni. I buoni propositi avrebbero dovuto farli loro, i responsabili della politica, ma evidentemente non se la sono sentita di impegnarsi in quella che è la vera democrazia: contribuire tutti insieme al benessere generale.
E’ vero, Berlusconi ha annunciato come capo del governo che il 2010 sarà l’anno delle grandi riforme. Ma questo è un buon proposito? Niente affatto, perché le riforme non dipenderanno solo dal governo, ma anche dal parlamento e soprattutto dalla capacità d’intesa tra maggioranza e opposizione. Per di più, Berlusconi non si è nemmeno impegnato a cercare il dialogo a tutti i costi, anzi ha detto chiaro e tondo che, se la minoranza non la smetterà di correre appresso a Di Pietro in un’opposizione oltranzista e miope, la maggioranza correrà da sola. Che tipo di riforme è lecito attendersi senza un autentico confronto democratico e un’ampia convergenza parlamentare?
L’opposizione, per bocca di Bersani, non è da meno. Dichiara a parole di essere pronta al dialogo, ma in realtà lo subordina a tutta una serie di condizioni pregiudiziali. Nel clima politico in cui è precipitata l’Italia, il principale partito d’opposizione è ancora troppo condizionato dalla paura di perdere consensi di fronte all’incalzare delle forze più antiberlusconiane e, forse, antidemocratiche che puntano decise a costituire la vera opposizione.
Insomma, anche quest’anno gli italiani si dovranno accontentare di qualche buona intenzione, ma nulla di più? Oppure si può ancora sperare? Ebbene sì, c’è da sperare che di fronte alla gravità dei problemi che sta attraversando l’Italia, istituzioni e cittadini si rendano conto che la crisi può essere superata solo dialogando e collaborando. Non c’è scampo, o si supera la logica delle contrapposizioni (vincitori/vinti, maggioranza/minoranza, destra/sinistra, buoni/cattivi, ecc.) e dei veti incrociati, o c’è il caos e il declino. Una vera democrazia non si basa solo sul potere della maggioranza, ma anche sul rispetto reciproco, sulla condivisione dei problemi e sulla collaborazione.
Solo a queste condizioni tutto potrebbe cambiare e l’Italia potrebbe superare la crisi profonda che rischia di strangolarla (debito pubblico, crisi economica, crisi finanziaria, perdita di valori, disparità sociali in aumento, difficoltà evidenti nella gestione del problema migratorio, disorientamento generale, ecc.). Solo raccogliendo le forze, non dissipando energie in logoranti guerre «ad personam», non perdendo tempo in sterili contrapposizioni, l’Italia riuscirà a dare ai propri cittadini un’amministrazione più giusta e più efficiente e soprattutto ai giovani e ai più deboli, serenità e speranza.
A queste condizioni, l’Italia può farcela. Dunque: BUON ANNO, ITALIA!
-------
Anche per la Svizzera la situazione non è facile. A mettere in difficoltà le istituzioni e i cittadini di questo Paese non è stata solo la crisi economica e finanziaria. La Svizzera già da qualche decennio sta ormai perdendo fiducia in sé stessa perché il mito dell’isola felice è tramontato e la difesa ad oltranza delle proprie tradizioni non regge più. Basti pensare che per ogni nuova legge deve fare i conti con il diritto comunitario.
In un mondo sempre più globalizzato, anche la florida economia svizzera comincia a registrare le sue debolezze, un numero crescente d’imprese in fallimento e una disoccupazione da record. La piazza finanziaria non è più una fortezza inespugnabile, il mitico segreto bancario è sempre meno segreto, soprattutto di fronte ai potenti vicini che per colpa sua si sentono in qualche modo defraudati e ora pretendono più trasparenza.
A causa delle note vicende con gli Stati Uniti, con la Germania, con la Francia, con l’Italia, con la Libia e altri Paesi, la Svizzera è alquanto disorientata nello scacchiere internazionale. Anche il federalismo mostra le sue debolezze, il governo manca talvolta di lucidità, i giovani hanno paura del futuro, la rete di protezione sociale si allenta, gli squilibri sociali non si attenuano.
Ai problemi della nazione ha accennato la Presidente della Confederazione nella sua allocuzione di capodanno, ma più che soffermarsi su ciò che non va, ha voluto suscitare fiducia nella possibilità di risolvere i problemi, perché ci sono sempre vie d’uscita e perché il popolo svizzero ha sempre molte risorse («so quanta forza il nostro Paese sa sviluppare»). La Presidente Leuthard ne ha ricordate alcune in particolare, a cominciare dalla coesione nazionale, elemento fondante della Svizzera quale «Willensnation», ossia una nazione basata sul consenso e sulla volontà di stare insieme.
Su questo fondamento si è sviluppato uno Stato di diritto (che intende rispettare «la dignità dell’essere umano»), uno Stato democratico (in cui «democrazia non significa soltanto la vittoria della maggioranza ma anche il rispetto della minoranza, la quotidiana convivenza di quelli che una volta han vinto con quelli che una volta han perso»), uno Stato sociale e solidale (in cui «la solidarietà non è una parola priva di senso» e ognuno è responsabile «per il proprio futuro e per il futuro del Paese»), uno Stato la cui identità «si commisura al benessere dei singoli suoi membri».
Certamente, dopo la crisi niente sarà più come prima, ma c’è da scommettere che i cittadini di questo Paese sapranno ritrovare in sé stessi, nella loro storia e nelle istituzioni la forza per riportare la Svizzera al posto che merita nel contesto internazionale e rivitalizzare quelle caratteristiche che li hanno sempre contraddistinti. Mi riferisco in particolare al senso profondo della libertà e della democrazia, alla capacità d’integrare lingue, culture e religioni diverse, alla tolleranza (nonostante vistose eccezioni) nei confronti dello straniero e del diverso, alla solidarietà nazionale e internazionale, alla disponibilità all’apporto economico e culturale di popolazioni di altri Paesi, soprattutto di quelli confinanti, superando malintesi e diffidenze.
Perché tutto questo si avveri: BUON ANNO, SVIZZERA!

In vigore la legge federale sulle lingue

(L'ECO, 13.01.2010)
Dopo una pluriennale gestazione, il 1° gennaio 2010 è entrata in vigore in vigore la legge federale sulle lingue. La legge era già stata approvata il 5 ottobre 2007, ma è mancata finora la volontà politica di applicarla, anzi manca ancora l’ordinanza di applicazione. Anche per questo, quando nel dicembre scorso il Consiglio federale ne ha dato l’annuncio, la notizia non ha suscitato alcun entusiasmo nemmeno tra coloro che l’attendevano da anni.
Eppure si tratta di una legge importante perché fornisce la base legale per tutte quelle misure che mirano a «rafforzare il quadrilinguismo quale elemento essenziale della Svizzera, consolidare la coesione interna del Paese, promuovere il plurilinguismo individuale e il plurilinguismo istituzionale nell’uso delle lingue nazionali, salvaguardare e promuovere il romancio e l’italiano in quanto lingue nazionali».
Sarà opportuno, fra qualche settimana o mese, osservare più da vicino i singoli elementi riguardanti in particolare l’italiano, ma conviene sottolineare da subito che le istituzioni italiane che operano nel settore, soprattutto nei corsi di lingua e cultura, dovrebbero approfondire la portata di questa legge ed in particolare dell’articolo 22, che prevede crediti della Confederazione ai Cantoni dei Grigioni e Ticino «per il sostegno di: a. misure destinate a salvaguardare e promuovere le lingue e culture romancia e italiana; b. organizzazioni e istituzioni che si impegnano a livello sovraregionale per la salvaguardia e la promozione delle lingue e culture romancia e italiana; c. attività editoriali nella Svizzera romancia e italiana».
Purtroppo questa legge interviene con molto ritardo sul problema delle lingue e a soffrirne è soprattutto l’italiano, in costante perdita di parlanti e soprattutto di scriventi. Sarebbe tuttavia un peccato non rendersi conto che agli italofoni oggi è data forse l’ultima occasione per una presa di coscienza generale sull’importanza dell’italiano come lingua nazionale ed elemento determinante della coesione del Paese.
Questa presa di coscienza dovrebbe tuttavia comportare anche l’impegno di unire le forze, senza distinzione di nazionalità, tra tutti gli italofoni, istituzioni e individui, per difendere il carattere nazionale e ufficiale della lingua italiana in Svizzera, promuoverne l’apprendimento soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado, diffonderne l’uso nelle comunicazioni ufficiali (Confederazione, Cantoni, Città principali, uffici pubblici, musei, ecc.) e nell’informazione generale.
Se invece si continuerà a procedere in ordine sparso e ogni istituzione brigherà per conto suo non ci sarà scampo: l’italiano continuerà il suo inesorabile declino, con buona pace degli estimatori dell’idioma dantesco e del Paese dove il «sì» suona.
Giovanni Longu
Berna 10.01.2010