21 luglio 2010

Per un’intesa forte in difesa dell’italiano in Svizzera

Con l’approvazione della legge sulle lingue e della relativa ordinanza d’applicazione sono ora disponibili gli strumenti giuridici necessari per poter intervenire a sostegno e a promozione del plurilinguismo soprattutto all’interno dell’Amministrazione federale. Ma al di fuori di essa, cosa ne sarà soprattutto delle lingue minoritarie e specialmente dell’italiano?
Il delegato federale al plurilinguismo
Il 1° luglio è entrata in vigore la tanto attesa ordinanza sulle lingue. E’ stata fortemente voluta soprattutto dalla Deputazione ticinese alle Camere federali. Sarebbe tuttavia un errore pensare che il suo compito sia finito con l’approvazione della legge e relativa ordinanza e con la consegna alla Cancelliera della Confederazione, il 1° giugno, di un «Manifesto per il plurilinguismo nell’Amministrazione federale». Al contrario, il lavoro serio e costante comincia solo ora. Sta infatti soprattutto alla Deputazione vigilare e controllare che la legge e l’ordinanza vengano applicate correttamente, almeno per quel che riguarda l’italiano.
E’ vero che l’ordinanza prevede, ad esempio, che gli italofoni nell’Amministrazione federale siano almeno il 7 per cento e che spetta al delegato al plurilinguismo «raccogliere informazioni e riferire sulla rappresentanza delle comunità linguistiche e sullo sviluppo del plurilinguismo nell’Amministrazione federale», ma sta alla Deputazione vigilare e, se il caso, intervenire con gli strumenti parlamentari adeguati.
L’ombudsman richiesto dalla Deputazione non è stato concesso, se non con competenze limitate, in quanto il delegato non ha alcun potere vero di mediazione, d’investigazione e d’intervento. Si deve tuttavia dare ampia fiducia al delegato Vasco Dumartheray, in carica dal 1° luglio, perché conosce nei dettagli l’Amministrazione federale, vive già in famiglia il plurilinguismo (ha origini svizzere, brasiliane e francesi ed è sposato con una ticinese) e saprà quanto meno vigilare sull’applicazione delle quote fissate dal governo per i germanofoni (70%), i francofoni (22%), gli italofoni (7%) e i romanci (1%). Vero è che il suo compito non sarà facile perché oltre alla semplice vigilanza (cosa di per sé non da poco) dovrà occuparsi anche della promozione del plurilinguismo e soprattutto delle lingue minoritarie.
Mi auguro, ad esempio, che per migliorare la situazione non si metta tanto l’accento sull’aumento della traduzione italiana quanto sull’aumento del numero dei quadri italofoni da inserire nei vari uffici.
Credo anche che il delegato al plurilinguismo possa (o debba?) esprimersi pure sulla rappresentanza italofona in Consiglio federale ogniqualvolta se ne presenti l’occasione. E prossimamente ce ne sarà più d’una. Lo farà, o qualcuno gli obietterà che la questione non rientra nelle sue competenze? Eppure, nell’opinione pubblica italofona, si sente la mancanza (ingiustificata) di un rappresentante italofono nel governo federale.
Chi difenderà l’italiano in Svizzera?
In Svizzera, al di fuori del Ticino, l’italiano è in forte crisi, come ampiamente dimostrato dalle statistiche, dal progetto di ricerca sul plurilinguismo del Fondo nazionale PNR 56. Nelle scuole di secondo grado e nelle università i corsi d’italiano e i relativi partecipanti continuano a diminuire. Lo Stato italiano, come noto, riduce sempre più incisivamente i suoi interventi nel settore dei corsi e della promozione della lingua e della cultura italiane. E’ possibile rallentare questo declino?
Non c’è dubbio che di fronte a una situazione che appare irrimediabile il pessimismo è persino ovvio. Eppure c’è ancora spazio per un moderato ottimismo. L’italiano in Svizzera non può essere dato per tramontato perché a sud della Svizzera c’è un grande Cantone solidamente italofono e, a quanto sembra, deciso a contare maggiormente a Berna.
Tra i parlamentari del Consiglio nazionale e del Consiglio degli Stati sono numerosi quelli italofoni (o sensibili alla lingua e alla cultura italiane) interessati a un rafforzamento della presenza dell’italiano come lingua nazionale e ufficiale dell’intera Confederazione. Credo che un loro coinvolgimento diretto nella problematica dell’italianità in Svizzera possa risultare di grande utilità. Sarebbe anche auspicabile che l’Ambasciata italiana, nell’ambito dei suoi rapporti istituzionali, non trascurasse questo elemento, che potrebbe dimostrarsi addirittura determinante in una strategia comune di promozione della lingua e della cultura italiane in Svizzera.
E’ tempo di sintesi
Non so se nella storia delle relazioni italo-svizzere ci sia mai stato un momento più favorevole per un’intesa forte in difesa dell’italiano. Quando il Ticino non si curava (tanto) degli italiani e questi avevano come unico (o quasi) punto di riferimento lo Stato italiano, era quasi inevitabili percorrere strade parallele o persino divergenti. Oggi si avverte invece chiaramente che è venuto il momento delle convergenze, delle sinergie, della sintesi. Perché non cogliere questa occasione che forse non si ripresenterà più?
Infine, non si dovrebbe mai dimenticare che gli italofoni in Svizzera sono ancora tanti, non sono affatto marginalizzati nell’economia e nella cultura, hanno il senso dell’appartenenza ad una grande famiglia linguistica e culturale europea, sanno di avere radici sane e profonde. Purtroppo questi italofoni non hanno ancora trovato una motivazione comune per una mobilitazione collettiva in difesa di questo loro patrimonio linguistico e culturale. E’ in questa direzione che occorre muoversi.
Giovanni Longu
Berna, 21 luglio 2010

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