03 marzo 2010

Tagli e sprechi

Non passa giorno che nella stampa e nei portali online destinati agli italiani all’estero non si leggano lamentale, recriminazioni e invettive all’indirizzo del governo italiano per i tagli praticati alle rappresentanze consolari, ai corsi di lingua e cultura, alla stampa italiana all’estero, alle attività culturali e persino all’assistenza.
I tagli, secondo l’on. Narducci sarebbero «particolarmente drammatici in Svizzera, dove è previsto un intervento di “razionalizzazione” che non ha precedenti nella storia delle nostre istituzioni scolastiche, tant’è vero che sarebbe completamente azzerato l’Ufficio scolastico del Cantone di Berna, con la soppressione dell’intera struttura amministrativa e dirigenziale, abbandonando a se stessi decine di insegnanti MAE e del CASCI, e centinaia di corsi di lingua italiana frequentati da migliaia di figli dei nostri connazionali residenti in detto Cantone».
Secondo il segretario del PD in Svizzera e consigliere del CGIE M. Schiavone, i tagli starebbero addirittura provocando il declino dell’italianità in questo Paese, per cui «non possiamo assistere inerti e subire pavidamente le sorti del destino».
Poiché non credo nel destino e non so cosa c’entri in queste faccende tipicamente umane, di fronte ai tagli di cui si parla, prima di emettere giudizi avventati, mi preoccuperei piuttosto di conoscerne l’entità, il reale impatto e se siano giustificati. Questo approccio è anche suggerito indirettamente dallo stesso Narducci quando parla di «razionalizzazione».
I punti di partenza mi sembrano due. Anzitutto occorre rendersi conto che lo Stato italiano è così mal messo che rischia di schiantare sotto il massiccio debito pubblico e sarebbe da incoscienti aumentare la spesa pubblica. In secondo luogo, la collettività italiana in Svizzera si è così trasformata negli ultimi quarant’anni che non è più possibile evitare la questione dell’adeguatezza delle strutture che la riguardano.
Partendo da queste premesse e dando per scontato che nessun governo tagli a cuor leggero o, peggio, mosso da una sorta di volontà distruttrice, occorrerebbe chiedersi, ad esempio, se è ancora sostenibile una rete consolare così capillare come quella presente in Svizzera, se è ancora possibile sovvenzionare tutte le attività che fino a non molto tempo fa sembravano necessarie per venire incontro ai bisogni della prima e della seconda generazione e se è ancora opportuno tenere in piedi un sistema assistenziale e clientelare apparentemente esorbitante sia rispetto alle esigenze reali e sia di fronte alle effettive possibilità di finanziamento.
Senza un’approfondita analisi di questi problemi rischiano di apparire unilaterali e ingiustificati i giudizi perentori che capita di leggere in questi tempi e che possono generare inutilmente panico (come è già accaduto ad esempio in occasione della trasformazione del Consolato di Berna in cancelleria consolare, a parità di servizi).
Invece di etichettare senza discussione le decisioni del governo come «inique e arbitrarie» e vedervi «provvedimenti normativi che mirano alla frantumazione del sistema formativo ed educativo e all’alienazione dei diritti della persona», troverei più ragionevole esaminare se e in quale misura tutte le voci di spesa attuali sono giustificate e se non vi siano addirittura sprechi da eliminare.
Dire aprioristicamente no ai tagli mi sembra irresponsabile, soprattutto da parte di chi ritiene di conoscere la realtà e di rappresentare gli interessi dei cittadini italiani all’estero. Se proprio non si vogliono i tagli alla rete consolare, ai corsi, alla stampa e a quant’altro, bisognerebbe per lo meno avere il coraggio di dire dove andare a prendere le risorse mancanti. Riducendo gli stipendi dei funzionari? Eliminando i costi di Comites e CGIE e trasformando eventualmente questi organismi in pure e semplici associazioni di volontariato? Dimezzando le indennità ai patronati? Tagliando i fondi a quei tanti «carrozzoni» di cui parla spesso Zulian del PdL in Svizzera? Non è una risposta dire semplicemente «eliminando gli sprechi» perché siamo punto e a capo. Gli sprechi vanno anzitutto individuati e denunciati come tali.
Il problema dei tagli, tuttavia, non andrebbe visto tanto in termini di sì o no, quanto in termini di quantità e di qualità. Per esempio: con le poche risorse disponibili, è preferibile continuare a sostenere i corsi di lingua e cultura introdotti per esigenze lontanissime da quelle attuali o andrebbero di preferenza sostenute attività mirate nel campo della formazione e della ricerca? Hanno una giustificazione, in un Paese come la Svizzera, dove la collettività italiana è ormai integrata da decenni, corsi «totalmente gratuiti» (come dice la pubblicità) d’integrazione o di reinserimento professionale o di improbabili attività per custode d’immobile, network manager, web creator, addirittura neoimprenditore, gestione e marketing d’impresa, retravailler (ossia reinserimento professionale per donne), comunicazione redazionale «informediale», scrittura giornalistica ecc.?
In conclusione, se i tagli sono necessari, è forse venuto il momento di chiederci tutti non solo cosa e quanto tagliare, ma anche dove e quanto investire per averne un sicuro beneficio. Le difese corporative ad oltranza sono solo dannose.
Giovanni Longu
Berna, 03.03.2010 (L'ECO)

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