22 luglio 2009

Marcinelle e l’immigrazione clandestina

Conviene precisare subito che tra Marcinelle (Belgio), luogo storico di una delle più gravi disgrazie dell’emigrazione italiana nel mondo e l’immigrazione clandestina non c’è alcun legame né geografico né temporale. C’è solo una dichiarazione di qualche settimana fa dell’ex ministro degli italiani all’estero Mirko Tremaglia, che nell’esprimere la sua contrarietà all’ancoramento nella legge sulla sicurezza del «reato di immigrazione clandestina» ricordava che, da ministro, uno dei suoi primi atti era stato quello di recarsi a Marcinelle per rendere omaggio a quei 136 italiani emigrati in Belgio, che l’8 agosto 1956 erano morti nella miniera di Bois du Cazier.
Nella stessa occasione, Tremaglia ricordava anche che fu lui a proporre l’8 agosto di ogni anno quale «Giornata nazionale del sacrificio del lavoro italiano nel mondo», a significare «che gli italiani nel mondo, che hanno subito persecuzioni ingiuste, vengono da allora esaltati ovunque. Questo appartiene alla Storia». Purtroppo appartengono alla storia dell’immigrazione «regolare» italiana anche i guai ch’essa ha subito, ad esempio in Svizzera, a causa dei numerosi infiltrati clandestini già ai tempi dei grandi trafori ferroviari e nel secondo dopoguerra. Ma forse per l’ex ministro questi guai sono insignificanti.
L’on. Tremaglia non può tuttavia confondere l’immigrazione clandestina con l’immigrazione «regolare». I 136 italiani periti a Marcinelle erano emigrati «regolari» perché l’emigrazione in Belgio era retta da un Accordo bilaterale. E quando l’8 agosto di ogni anno si ricorda il sacrificio del lavoro italiano nel mondo è giusto ricordare tutti gli emigrati italiani che hanno onorato l’Italia col loro lavoro e talvolta con la loro vita, ma senza ignorare che nella stragrande maggioranza si è sempre trattato di donne e uomini rispettosi delle leggi del Paese di accoglienza.
Mi rendo ben conto che voler regolare l’enorme problema dell’immigrazione con qualche legge per di più molto controversa è pretendere l’impossibile, ma non si può non cominciare a creare una base giuridica chiara per giustificare le necessarie misure di contrasto all’immigrazione illegale a favore di quella legale. Il reato di immigrazione clandestina ha sollevato numerosi interrogativi e critiche (ma esiste qualche legge che non sia criticabile?), ma nel caso specifico il clamore suscitato (spesso in maniera strumentale) è francamente esagerato, anche perché tutto, ma veramente tutto, dipenderà da come la nuova legge sulla sicurezza verrà interpretata e applicata.
Attenti però al buonismo gratuito e facilone. Tutti vorremmo una società più comprensiva e più accogliente soprattutto nei confronti dei più diseredati della terra. E non è difficile capire che «se gli uomini fussino tutti buoni», per dirla col Machiavelli, non ci sarebbe bisogno di leggi, perché «dove una cosa per sé medesima senza legge opera bene, non è necessaria la legge; ma quando quella buona consuetudine manca, è subito la legge necessaria».
Questa è purtroppo la realtà: insieme a tanti immigrati regolari (ossia in regola con le leggi) ve ne sono parecchie migliaia di irregolari (ossia in violazione delle leggi che regolano l’ingresso e il soggiorno in Italia), che nessuno Stato sovrano può tollerare. Per cui una legge che consenta l’individuazione ed eventualmente l’espulsione dei clandestini è necessaria. Si badi bene, anche nel caso di richiedenti l’asilo l’individuazione è necessaria per verificare la sussistenza dei requisiti per chiedere asilo.
Perché dunque ritenersi «offesi» dall’introduzione di questo reato nella legislazione italiana, se la legge è fatta apposta per regolare e migliorare le condizioni generali dell’immigrazione? Se c’è uno scandalo, non è tanto dovuto a questa legge e a questo reato, quanto il dover costatare che esiste ancora nel mondo non solo l’emigrazione forzata a causa della miseria e della fame, ma una vera e propria tratta di moderni schiavi per le società industrializzate. Ed è scandaloso che dopo le innumerevoli analisi teoriche e statistiche sulle migrazioni mondiali, la comunità internazionale, soprattutto i Paesi ricchi delle Nazioni Unite e dell’Europa, i grandi beneficiari del fenomeno migratorio, non siano ancora riusciti a eliminare alla radice le principali cause dell’emigrazione forzata (fame, sottosviluppo, malgoverno), creando nei Paesi d’origine degli emigranti condizioni di vita e di lavoro dignitose.
Questa costatazione non può tuttavia indurre né l’on. Tremaglia né molti come lui a confondere gli immigrati (regolari) con i clandestini (illegali). Non è accettabile e rispettoso nei confronti di quanti osservano pienamente la legge, confondere gli uni con gli altri. E’ semplicemente fazioso e demagogico ritenere che «il reato di immigrazione clandestina vuol colpire emigranti che non hanno commesso alcun reato specifico contro la legge e che non hanno offeso alcun diritto altrui (…), milioni di persone che lavorano o vogliono lavorare in Italia». E sbaglia Tremaglia a ritenere l’introduzione di questo reato nella legge sulla sicurezza come una «offesa a quanti nel mondo sono costretti a vivere ed operare al di fuori dei loro Paesi di origine». L’immigrazione clandestina è un reato specifico perché espressamente previsto dalla legge, che non intacca minimamente i diritti dei migranti regolari e tantomeno quelli dei richiedenti l’asilo nella legalità.
Se uno Stato non avesse il potere di contrastare il fenomeno dell’illegalità si esporrebbe a gravissimi rischi. E’ evidente che non tutti i clandestini vanno considerati criminali (reato e crimine non sono sinonimi), ma non si può negare che molti clandestini finiscono spesso nelle maglie della criminalità organizzata. Non perseguire i clandestini significherebbe non solo lasciare a piede libero molti autentici delinquenti, ma anche rinunciare alla lotta contro quelle organizzazioni criminali che reclutano la propria manovalanza proprio tra i clandestini.
Non credo, infine, che nella nuova legge si debba considerare solo l’aspetto repressivo. Ritengo anzi che il suo vero scopo sia quello di favorire l’immigrazione regolare e la sua integrazione nel tessuto della società civile ed economica italiana. Del resto, l’avallo della legge da parte del Capo dello Stato, sia pure con alcuni rilievi critici, non lascia alcun dubbio sulla legittimità del provvedimento. La sua corretta e giudiziosa applicazione dipenderà non solo da chi sarà tenuto ad applicarlo, ma anche da tutte le forze politiche che, invece di litigare continuamente, farebbero meglio a concentrare i loro sforzi al fine di rendere l’immigrazione in Italia una vera risorsa e scoraggiare ogni forma d’illegalità.
Giovanni Longu
Berna 22.07.2009