05 maggio 2009

Costituzione italiana rigida ma non immutabile!

Questa espressione fu pronunciata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo discorso d’insediamento il 15 maggio 2006. Egli ricordò che «i costituenti si pronunciarono a tutte lettere per una Costituzione "destinata a durare", per una Costituzione rigida ma non immutabile, e definirono le procedure e garanzie per la sua revisione».
Alla parte «rigida», secondo il neopresidente, appartengono i valori fondamentali che ispirarono la Costituzione: «Il richiamo a quei valori trae forza dalla loro vitalità, che resiste, intatta, ad ogni controversia. Parlo (…) di quei "principi fondamentali" che scolpirono nei primi articoli della Carta Costituzionale il volto della Repubblica. Principi, valori, indirizzi che scritti ieri sono aperti a raccogliere oggi nuove realtà e nuove istanze».
Dunque su quei principi e valori (che riguardano il lavoro, i diritti inviolabili della persona umana, il principio di eguaglianza di tutti i cittadini, ecc.) non c’è discussione. Di fatto, lungo tutto il cosiddetto arco costituzionale, nessuno ha mai messo in dubbio la validità e la sostenibilità di quei principi che occupano la prima parte della Costituzione italiana.
Il Presidente Napolitano, accennando alla seconda parte della Costituzione, quella «mutabile», fece un interessante richiamo al pensiero dei costituenti: «Già nell'Assemblea Costituente si espresse - nello scegliere il modello della Repubblica parlamentare - la preoccupazione di "tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di governo e di evitare le degenerazioni del parlamentarismo". Quella questione rimase aperta e altre ne sono insorte in anni più recenti, anche sotto il profilo del ruolo dell'opposizione e del sistema delle garanzie, in rapporto ai mutamenti intervenuti nella legislazione elettorale».
E’ bene ricordare che quando si parla di modifiche alla Costituzione ci si riferisce sempre alla seconda parte, riguardante l’ordinamento della Repubblica, ritenuta «modificabile» anche dai costituenti. Perché dunque gridare allo scandalo, anzi a un vero e proprio attentato alla Costituzione, quando a chiederne la modifica è Berlusconi? Prima di rispondere a questa domanda occorre fare un passo indietro.
Il tema della modificabilità o meno della Costituzione è ritornato di grande attualità in concomitanza della triste vicenda di Eluana Englaro (v. L’ECO del 18.2.09). I fatti sono noti. Nel momento in cui, in base a una sentenza della Corte di Cassazione (sulla cui interpretazione non è mai stata fatta definitiva chiarezza), si cercava di porre fine alla vita di Eluana Englaro interrompendone l’alimentazione e la disidratazione, il governo Berlusconi intervenne con un decreto legge finalizzato a impedirlo. Sennonché il Capo dello Stato, cui spetta per Costituzione di «emanare i decreti aventi valore di legge» negò la sua approvazione ritenendolo incostituzionale. Berlusconi, visibilmente contrariato, minacciò un ritorno al popolo per chiedere «il cambiamento della Costituzione».
Che cosa intendesse fare davvero Berlusconi nessuno lo sa, ma tanto bastò perché le opposizioni insorgessero in difesa della Costituzione facendo dire a più di un leader politico autentiche idiozie, come quella di voler di «stravolgere la Costituzione» e di «trasferire nelle mani di una sola persona il potere legislativo».
Già a questo punto sorge un primo dubbio: si tratta davvero di difendere la Costituzione o piuttosto di portare un attacco a Berlusconi e al suo governo? Infatti la Costituzione è stata già in passato modificata, anche dalle sinistre al potere, e Berlusconi non ha mai manifestato l’intenzione di modificare alcunché della parte «rigida» della carta fondamentale dello Stato italiano. Egli sa anche bene che per qualunque modifica della seconda parte ci vogliono pur sempre i due terzi dei parlamentari.
Lo stesso «conflitto» sollevato da Berlusconi nei confronti del Capo dello Stato per la mancata approvazione del decreto-legge a favore della vita di Eluana non può essere visto, a mio modesto avviso, come un attentato alla Costituzione o alle prerogative del Capo dello Stato, dato che è la stessa Costituzione che attribuisce al Governo il potere di intervenire «sotto la sua responsabilità» con «provvedimenti provvisori con forza di legge …in casi straordinari di necessità e d'urgenza». Chi ha ragione?
Lasciamo che siano i costituzionalisti a risolvere il conflitto di attribuzioni delle due istituzioni. Ma per la gente comune resta inspiegabile che la valutazione del Capo dello Stato, per quanto autorevole, sia più «costituzionale» della valutazione del Governo, che dispone di un importante apparato giuridico per far verificare la costituzionalità dei suoi provvedimenti.
Si dirà che il conflitto, fortunatamente non proseguito, tra il Governo e il Capo dello Stato, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non è infatti un mistero che le ambizioni di Berlusconi e della maggioranza di cui dispone in Parlamento mirino effettivamente a una grande riforma dello Stato. Che queste ambizioni possano dare fastidio è anche comprensibile, perché sarebbero coinvolte molte istituzioni della Repubblica. E’ tuttavia ingiustificato l’allarmismo suscitato ad arte e soprattutto il rischio di dittatura rappresentato da Berlusconi.
Mi sembra invece sotto gli occhi di tutti la necessità di porre mano quanto prima a una vera riforma che incida profondamente sui tre poteri fondamentali dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Ad esempio, è il caso di avere un migliaio di parlamentari quando a frequentare le aule sono di fatto pochissimi e il Presidente della Camera è costretto a introdurre un sistema di voto elettronico con tanto di impronte digitali dei deputati per evitare che i pochi presenti (denominati «pianisti») possano ancora votare per i colleghi assenti?
Quanto all’esecutivo, già attualmente in Parlamento c’è una forte convergenza sulla necessità di introdurre un sistema di governo più conforme alle intenzioni degli stessi costituzionalisti che auspicavano governi stabili e in grado di governare, liberati dalle degenerazioni e dalle debolezze del parlamentarismo. Perché in Italia dovrebbe far paura il presidenzialismo, quando si guarda ancora all’America come un modello di democrazia e alla Francia come un modello di efficientismo? E chi, in Italia, può ritenersi soddisfatto della lentezza della giustizia, delle disfunzioni della sanità, della complicazione burocratica?
Invece di tante polemiche, inutili e deleterie, non sarebbe meglio dare ascolto e seguito alle reazioni dei cittadini, che vorrebbero solo un governo in grado di intervenire prontamente e autorevolmente per risolvere i problemi? I cittadini si aspettano sì buone leggi, ma soprattutto che vengano rispettate, che i processi si svolgano in tempi rapidi, che la giustizia sia garantita, che gli ospedali e le scuole funzionino, che la disoccupazione diminuisca invece di crescere, che si possa vivere in pace e dignitosamente, ecc.
Giovanni Longu
Berna, 2.3.2009

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