12 maggio 2008

Naturalizzazioni: perché la votazione del 1° giugno è tanto importante?

Il tema della prossima votazione del 1° giugno verte su un aspetto procedurale delle naturalizzazioni e per la sua natura troppo tecnico-giuridica non è di quelli che appassionano particolarmente l’opinione pubblica. Non credo pertanto che gli elettori si recheranno più numerosi del solito alle urne. Eppure l’esito della votazione avrà un’importanza straordinaria sulla politica migratoria svizzera.
Ho già scritto in un precedente articolo (Naturalizzazioni: perché se ne parla ancora?, L’ECO n. 20) che di questo tema si discute in Svizzera fin dal 1848. E’ bene anche sapere che la votazione del 1° giugno ha una grande rilevanza politica. Il rigetto dell’iniziativa dell’Unione democratica di centro (UDC) – che qui do per scontato – contribuirebbe infatti a mantenere aperta la strada a un progressivo adeguamento della politica svizzera di naturalizzazione ai principi di uno Stato di diritto e agli standard dei Paesi europei. Al contrario, l’approvazione dell’iniziativa rischierebbe di peggiorare la situazione, reintroducendo elementi d’incertezza e di arbitrio contrari a uno Stato di diritto e già denunciati dal Tribunale federale. Un sì all’iniziativa farebbe regredire di parecchi decenni l’attuale politica di naturalizzazione, avviata verso la normalità.
Il federalismo, a prescindere dai vantaggi e dagli svantaggi che, a seconda delle opinioni, comporta, è all’origine delle difficoltà che il processo di naturalizzazione ha incontrato finora. Nel 1848, poiché il tema degli stranieri non rivestiva ancora a livello federale grande importanza (riguardava infatti meno del 3% della popolazione), si preferì lasciare la questione delle naturalizzazioni nella competenza esclusiva dei Cantoni.
Quando la proporzione straniera divenne più consistente, emersero anche i comportamenti molto eterogenei dei Cantoni e da più parti si chiese alla Confederazione di disciplinare la materia della naturalizzazione. I Cantoni furono piuttosto restii e la legge sulla cittadinanza del 1876 poté imporre solo alcuni requisiti minimi (ad es. il soggiorno in Svizzera da almeno due anni e la previa autorizzazione della Confederazione). Per il resto, ogni Cantone continuò a naturalizzare secondo regole e interessi propri.
Sul finire del XIX secolo (quando la proporzione degli stranieri aveva superato la soglia del 10%), il problema si ripresentò con maggior vigore e diversi Cantoni chiesero alla Confederazione criteri più precisi e la possibilità di naturalizzare facilmente quegli elementi «adatti alla nazione svizzera» perché già «assimilati» o «assimilabili». Venne inoltre chiesta l’introduzione della naturalizzazione automatica per i nati da genitori stranieri già residenti in Svizzera (jus soli). La Confederazione non poté accordare tutto quanto richiesto, ma con la legge del 1903 sull’acquisto della cittadinanza svizzera si lasciavano liberi i Cantoni di facilitare le naturalizzazioni e persino d’introdurre la naturalizzazione automatica. Il risultato fu che nessun Cantone se ne avvalse.
Frattanto la proporzione degli stranieri continuava a crescere e già si parlava di «inforestierimento» (Überfremdung), provocando gravi disagi nella convivenza tra svizzeri e stranieri. In alcune grandi città la parte di stranieri superava abbondantemente il 30-40%, a Lugano addirittura il 50%. Per evitare che la situazione degenerasse, da più parti venne invocata una nuova legge federale che regolasse in modo adeguato lo strumento delle naturalizzazioni.
Mentre la Confederazione si apprestava a rivedere la legge del 1903, lo scoppio della prima guerra mondiale provocò la chiusura delle frontiere, relegando di fatto il problema degli stranieri e delle naturalizzazioni tra quelli meno prioritari. Molti stranieri dovettero abbandonare la Svizzera al richiamo dei loro Paesi, per altri alcuni Cantoni provvidero a una rapida naturalizzazione (oltre 50.000 in 5 anni, con una media annua di più di 10.000, più del doppio della media abituale).
La guerra aveva ridotto la proporzione degli stranieri ma non aveva eliminato i problemi. Per regolare l’afflusso degli stranieri venne creata la famosa Polizia degli stranieri (1917) e per mettere ordine in materia di naturalizzazione fu approvata una nuova legge sulla cittadinanza (1919) che portava a sei anni il requisito del soggiorno in Svizzera e rendeva più rigidi i criteri di «assimilazione» perché la richiesta di naturalizzazione potesse venire accolta. Un’iniziativa popolare (1920) chiedeva addirittura un periodo di soggiorno di sedici anni e criteri più severi. L’iniziativa fu respinta in votazione popolare, ma i criteri per la naturalizzazione divennero sempre più severi (revisione parziale della legge sulla cittadinanza del 1928).
Con la nuova legge sulla cittadinanza del 1952 veniva garantita la naturalizzazione fin dalla nascita ai nati in Svizzera da madre (già) di nazionalità svizzera, mentre per la naturalizzazione ordinaria si richiedeva un soggiorno di almeno 12 anni. I criteri per la naturalizzazione vennero inaspriti a tal punto che le naturalizzazioni ordinarie durante gli anni ’50 e ’60 si aggiravano attorno a 2000 l’anno. Del resto, in quei decenni, tutta la politica degli stranieri (basata sulla legge federale sugli stranieri del 1931) mirava al ricambio periodico degli immigrati, non prevedeva misure d’integrazione e considerava la naturalizzazione una sorta di premio a chi dopo molti anni riusciva a dimostrare di essere veramente «assimilato».
Dagli anni Settanta in poi la politica nei confronti degli stranieri introduce, accanto alle misure di contenimento e di stabilizzazione della manodopera estera, misure d’integrazione e un alleggerimento dei criteri per ottenere la cittadinanza svizzera. Le naturalizzazioni ordinarie progredirono costantemente dalle 5331 del 1970 alle 30.031 del 2006.
Dal 1983 il Consiglio federale ha cercato in più occasioni di rendere la naturalizzazione più accessibile, soprattutto per la seconda e terza generazione di stranieri, ma invano. Nel 2003 le Camere federali approvarono una modifica della Costituzione e della legge sulla cittadinanza allo scopo di agevolare la naturalizzazione dei giovani stranieri di seconda generazione e concedere la naturalizzazione automatica ai giovani di terza generazione. Fu un successo effimero perché la modifica venne bocciata l’anno seguente con un referendum.
Da diversi anni, soprattutto l’UDC, si batte per rendere la naturalizzazione più difficile, spesso con argomenti molto discutibili, nel tentativo di far credere che facilitando la naturalizzazione si aprirebbe la strada alle «naturalizzazioni di massa», all’aumento della criminalità e alla «perdita dell’identità svizzera». In realtà, anche raddoppiando la quota di naturalizzazioni, la Svizzera risulterebbe ancora tra i Paesi più restrittivi dell’Unione Europea.
In questa ottica va vista anche l’iniziativa su cui il popolo svizzero voterà il prossimo 1° giugno. Bocciando l’iniziativa si darebbe un segnale forte affinché la politica di naturalizzazione della Svizzera prosegua nella direzione intrapresa, per conformarsi maggiormente ai principi dello Stato di diritto e ai criteri più diffusi a livello europeo.
L’approvazione dell’iniziativa significherebbe invece bloccare il processo di avvicinamento all’Europa, far arretrare la Svizzera di decenni in fatto d’integrazione e coesione sociale, negare a decine di migliaia di svizzeri di fatto (perché stranieri solo sulla carta) di esserlo anche di diritto, con grave danno all’intera società.
Giovanni Longu
(L’ECO, Berna 12.5.08)