10 maggio 2008

Federalismo e solidarietà. Riuscirà il governo Berlusconi a conciliare le due esigenze dell’Italia di oggi?

Il federalismo e la lotta all’immigrazione clandestina sono da sempre i cavalli di battaglia della Lega Nord di Umberto Bossi. Da qualche tempo si sono avvicinati alle sue idee anche i due partiti maggiori di centrodestra e centrosinistra, che hanno inserito nei loro programmi elettorali per le ultime elezioni sia il federalismo che la lotta alla clandestinità. Il Popolo della Libertà ha addirittura stretto un’alleanza elettorale e di governo con la Lega Nord. Ora che la coalizione di centrodestra ha vinto con ampio margine sugli avversari e si appresta a governare il Paese ci s’interroga già se Berlusconi, prossimo Presidente del Consiglio dei Ministri, riuscirà a conciliare le diverse anime presenti nella coalizione in materia sia di federalismo che di clandestini.
Poiché sembra unanime in Italia l’avversione agli stranieri clandestini, non credo che il prossimo governo incontrerà ostacoli di sorta a varare provvedimenti atti a gestire meglio non solo il problema dei clandestini, ma anche quello più generale dell’integrazione degli stranieri, lasciando magari ancora in sospeso il problema del diritto di voto agli immigrati regolari. E’ possibile che al riguardo anche la Lega sia disposta a compromessi.
Il punto più delicato per la stabilità del governo mi sembra il cosiddetto «federalismo fiscale» fortissimamente voluto dalla Lega, che non ha ancora trovato la sua legge appropriata. Che questa sia la volta buona? Tanto più che Umberto Bossi, autocandidatosi al Ministero per le riforme, ha promesso ai Leghisti la realizzazione del federalismo fiscale entro pochi mesi dall’insediamento del governo. Ma non è detto che si trovi così in fretta un compromesso soddisfacente, e già ci si domanda cosa succederebbe qualora si raggiungesse un ampio consenso (anche da parte dell’opposizione) su una proposta non corrispondente alle attese della Lega. Gli scenari sono diversi, ma è troppo presto per entrare nel merito.
La delicatezza del problema è data soprattutto dalla difficoltà di conciliare esigenze apparentemente (ma non necessariamente) contrapposte tra le diverse Regioni italiane. Se infatti per alcune (soprattutto al Nord) sembra prioritaria l’autonomia finanziaria, per altre è primordiale superare velocemente il divario che le separa dalle Regioni economicamente più prospere. Lo Stato centrale dovrebbe essere garante delle esigenze delle une e delle altre, ma dovrebbe specialmente promuovere lo sviluppo economico delle regioni più deboli e rimuovere gli squilibri economici e sociali. Solo da questi pochi cenni risulta evidente che il cosiddetto «federalismo fiscale» non può essere considerato un normale intervento legislativo.
A rendere delicata la questione contribuisce anche il linguaggio. Purtroppo del «federalismo fiscale» non esiste una definizione precisa e comprensibile da tutti, per cui l’uso di questa espressione suscita ogni sorta d’interpretazione. In effetti, la parola stessa «federalismo» se da un lato può richiamare concetti quali «unità», «coesione», «solidarietà» (uno per tutti, tutti per uno), dall’altro può evocare anche «autonomia», «sovranità» e persino «indipendenza». Che le ultime evocazioni non siano affatto velleitarie lo conferma lo stesso logo della Lega Nord, ossia «Lega Nord per l’indipendenza della Padania». E il programma elettorale della Lega per le ultime elezioni recita esplicitamente alla voce «Federalismo»: «Stato federale articolato in tre macroregioni rappresentate da un Senato federale. Le macroregioni avranno sovranità in termini di potere legislativo, amministrativo e giudiziario». Le macroregioni avranno anche la loro bandiera. La Padania, ebbe a dire qualche giorno fa Bossi, ha già la sua bandiera, diversa dal tricolore dell’Italia. Sarebbe interessante sapere da Bossi e dagli altri ministri leghisti se a Roma si sentano più ministri della Repubblica o rappresentanti della Padania.
A rendere problematico il modello di federalismo fiscale di tipo leghista è tuttavia soprattutto la sostanza. Non è infatti chiara la risposta alla domanda: chi ci guadagna e chi, eventualmente, ci perde? E’ evidente che la risposta dovrebbe essere: tutti guadagnano, nessuno perde. Ma in tal modo ancora non si capirebbe cosa occorra fare per superare il divario esistente tra Sud e Nord, tra un Sud sottosviluppato e un Nord supersviluppato (anche senza il federalismo). E’ credibile che basti il federalismo fiscale per rendere più omogenea l’Italia o più virtuose le amministrazioni pubbliche inefficienti?
Inoltre, a chi ha una qualche dimestichezza con la storia e la geografia risulta a prima vista davvero difficile capire che c’entri il «federalismo» con l’Italia di oggi, che non è uno Stato federale, a differenza della Svizzera o della Germania o dell’Austria che invece lo sono fin dalla nascita. Come si fa ad innestare il federalismo in uno Stato unitario? Probabilmente ci si capirebbe di più se si parlasse semplicemente di «autonomia finanziaria» delle Regioni, ma ormai l’espressione è invalsa nell’uso sia specialistico che comune e non potrà essere certo un sostenitore del federalismo svizzero a farla cambiare.
Per capirne di più non resta che andare a rileggersi l’art. 119 della Costituzione, che rappresenta allo stato attuale il fondamento della futura legge in materia di «autonomia finanziaria» delle Regioni. Esso recita:
«I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. (…) Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. / La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. (…)».
E’ sulla base di questo articolo che il ministro Bossi dovrà elaborare il suo disegno di legge sul «federalismo fiscale» o comunque lo si voglia chiamare, e non potrà non tener conto dei principi in esso contenuti. Al momento non ci sono scappatoie possibili, a meno che la nuova maggioranza non intenda rimettere mano alla riforma del Titolo V della Costituzione (che tratta fra l’altro dell’autonomia finanziaria delle Regioni), ma in tal modo i tempi si allungano e Bossi non potrà mantenere la sua promessa con gli elettori.
Che questo articolo della Costituzione non sia del tutto conforme al pensiero di Bossi (e forse anche dell’attuale maggioranza) è dato dal fatto che esso fu approvato con la sola maggioranza di centrosinistra nel 2001, proprio alla vigilia delle elezioni che decretarono la vittoria alla coalizione di Berlusconi. La riforma venne tuttavia confermata successivamente da un referendum popolare. La nuova maggioranza tentò invano di riformare la Costituzione anche in quella parte riguardante la stessa materia, ma la riforma fu bocciata da un altro referendum. Che farà a questo punto il Berlusconi ter? Accetterà la proposta di federalismo fiscale della Lega Nord presentata alle elezioni politiche del 2008, che prevede che le regioni padane debbano avere a disposizione il 90% del gettito fiscale del proprio territorio? Inviterà Bossi a tener maggiormente conto delle esigenze di tutte le Regioni e del principio della solidarietà sociale conformemente all’art. 119 della Costituzione, in modo che la perequazione fiscale consenta davvero al Sud di vincere definitivamente il sottosviluppo, l’illegalità, l’inefficienza? Oppure ci si renderà conto che per risolvere i mali dell’Italia, del Nord, del Centro e del Sud, isole comprese, non bastano il federalismo e la perequazione finanziaria, ma occorrono soprattutto maggior rispetto per la cosa pubblica, un forte richiamo al senso dello Stato, la tolleranza zero in fatto di illegalità, abusi, inefficienza e, perché no?, sanzioni esemplari ai recidivi?
Giovanni Longu
Berna 10.05.2008

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